Studio Legale Avv. Paola Maddalena Ferrari

Il Punto. Marketing della farmacia tre sentenze fanno chiarezza.

Le strategie di marketing e di posizionamento delle farmacie hanno sempre creato contenziosi tra i farmacisti, tre sentenze hanno fatto chiarezza su altrettante questioni che hanno generato contenziosi ed anche risposte diverse da parte della magistratura.

Nulla osta alla normativa di uno stato europeo che vieta il gioco a premi sui farmaci da prescrizione

La più importante tra le sentenze è sicuramente quelle della Corte di giustizia europea, Sez. IV, 15/7/2021 n. C-190/20.

La sentenza prese avvio da  una controversia che oppose una catena olandese di farmacie on-line all’Apothekerkammer Nordrhein (ordine dei farmacisti della Renania settentrionale, Germania), in merito a un volantino pubblicitario, distribuito presso la sua clientela in Germania. per un «grande gioco a premi» in cui si prevede come condizione per la partecipazione l’invio di una ricetta per un medicinale soggetto a prescrizione medica. Il giudice Tedesco che ha disposto il rinvio alla Corte Europea,  si interroga, in sintesi,  sulla conformità con gli obiettivi e con le disposizioni della direttiva 2001/83 del divieto della legge tedesca che vieta di includere i farmaci da prescrizione nelle raccolte a premi delle farmacie online che, al contrario dell’Italia, permette anche la vendita di farmaci da prescrizione.

E’ opportuno ricordare che  un divieto del genere riguarda in molti paesi europei non solo le farmacie on-line ma anche le farmacie convenzionali, le quali avrebbero anch’esse interesse a promuovere la vendita dei loro medicinali mediante giochi pubblicitari (in Italia il divieto è contenuto nel comma 2 dell’art. 5 della legge 248/2006).

In tale contesto, il Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia) decise di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «Se sia compatibile con le disposizioni del titolo VIII e, in particolare, con l’articolo 87, paragrafo 3, della direttiva [2001/83] l’interpretazione di una disposizione nazionale (nella specie, l’articolo 7, paragrafo 1, primo periodo, dell’HWG) nel senso di inibire ad una farmacia per corrispondenza stabilita in un altro Stato membro di attirare clienti attraverso la promozione di un gioco a premi, nel caso in cui la partecipazione al gioco medesimo sia correlata alla presentazione di una ricetta medica di un medicinale per uso umano soggetto a prescrizione, il premio assegnato non sia un medicinale bensì un bene diverso (nella fattispecie, una bicicletta elettrica del valore di EUR 2 500 e spazzolini da denti elettrici) e non ci sia motivo di temere che venga incoraggiata l’utilizzazione irrazionale o eccessiva di medicinali».

Il Giudice tedesco ritiene che un siffatto divieto possa essere giustificato alla luce dell’articolo 87, paragrafo 3, di tale direttiva, in quanto esso è volto a prevenire il rischio che il consumatore, quando decide di fare uso di un medicinale, sia influenzato dalla prospettiva degli omaggi pubblicitari legati all’acquisto di detto medicinale. Il medesimo giudice considera, al riguardo, che la decisione del paziente di procurarsi un medicinale soggetto a prescrizione presso una farmacia nazionale o estera per corrispondenza anziché presso una farmacia con una sede fisica, la quale è in grado di dispensare la consulenza oggettivamente necessaria, dovrebbe essere fondata su motivi oggettivi e non dipendere da incentivi del genere.

Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando, si legge nella pronuncia,  da un lato, che la direttiva 2001/83 deve essere interpretata nel senso che essa non si applica a una normativa nazionale che vieta a una farmacia che vende medicinali per corrispondenza di organizzare un’azione pubblicitaria sotto forma di gioco a premi che consenta ai partecipanti di vincere oggetti di uso corrente diversi da medicinali, subordinando la partecipazione a detto gioco all’invio di un ordine per un medicinale per uso umano soggetto a prescrizione medica, accompagnato da tale prescrizione e, dall’altro, che l’articolo 34 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una siffatta normativa nazionale.

La croce blu della parafarmacia è legittima                       

L’utilizzo della denominazione parafarmacia e di una croce di diverso colore, come il colore blu, non è vietata dalle fonti normative e non genera alcuna confusione nei consumatori ai fini dell’individuazione della esatta tipologia di servizio.  Il simbolo indicativo delle sole farmacie è la  “croce” di colore verde e non il simbolo “croce” di altri colori, tanto più quando lo stesso sia unito, come nel caso di specie, alla denominazione “parafarmacia, questa è la posizione espressa dal  TAR Lazio, sez. II ter, 12/7/2021 n. 8297 in una causa che opponeva un titolare di parafarmacia al Comune di Roma che l’aveva vietata.

E’ vietato l’utilizzo di denominazioni e simboli che siano potenzialmente idonei ad indurre i consumatori in equivoco circa la natura di farmacia dell’esercizio e che deve ritenersi senz’altro tale il contestuale utilizzo della denominazione “farmacia” e della croce di colore verde, afferma la sentenza, al contrario, l’utilizzo della denominazione “parafarmacia” e di una croce di diverso colore, come il colore blu, da un lato, non è vietata dalle fonti normative, e dall’altro, non risulta nemmeno idonea ad ingenerare alcuna confusione nei consumatori ai fini dell’individuazione della esatta tipologia di servizio.

La distanza tra le farmacie si misura il percorso pedonale più sicuro

Ai fini della misurazione della distanza tra le farmacie, il criterio del percorso pedonale più breve è quello più sicuro per i pedoni, questa è l’opinione contenuta nella sentenza del  TAR Campania, Napoli, Sez. V, 13/7/2021 n. 4853 nella causa intentata da un farmacista che stava sul lato opposto della piazza il quale  impugnò la determina del comune che autorizzava il trasferimento dell’esercizio del collega.  Secondo il concorrente il tratto più breve doveva essere misurato attraversando in diagonale la piazza e, di conseguenza la distanza era di soli 177 metri. Secondo il Comune, invece, la distanza andava misurata seguendo il percorso pedonale più sicuro e conforme al Codice della Strada che lo portava a 270 metri.

Nel sistema introdotto dalla riforma delle farmacie del 2012, il farmacista è sostanzialmente libero di spostare la propria sede all’interno della zona astrattamente di pertinenza mentre i titolari di zone continue non hanno altra tutela se non il rispetto della distanza minima obbligatoria del rispetto dei 200 metri tra esercizi, da misurarsi per la via più breve tra soglia e soglia delle farmacie. A tale ultimo riguardo, prosegue la sentenza, la giurisprudenza ha ampiamente chiarito che, ai fini della misurazione della distanza tra le farmacie, il criterio del percorso pedonale più breve previsto dall’art. 1, l. 2 aprile 1968 n. 475 si riferisce al percorso effettivamente percorribile a piedi da una persona normalmente deambulante in condizioni di sicurezza.

Pertanto, alla stregua della normativa vigente e della conferente giurisprudenza quale che sia la classificazione del tratto di strada in questione, non può computarsi in tale percorso il tratto di strada non percorribile in sicurezza dai pedoni a causa del transito di auto ad alta velocità e dell’assenza di semafori e/o attraversamenti pedonali.

Tribunale di Roma. Dipendente di un villaggio turistico rifiuta la vaccinazione. Legittimo sospenderlo dalla retribuzione se a contatto con il pubblico ed a dirlo è il medico competente

Tribunale di Roma, Sez. 2 Lav., 28 luglio 2021, n. 18441
Il Giudice dott.ssa Renata Quartulli, sciogliendo la riserva che precede, esaminati gli atti

osserva
Dalla documentazione in atti risulta quanto segue:
-la ricorrente, sottoposta a visita di idoneità dal medico competente è stata dichiarata: “Idoneo con limitazioni” , ovvero: “Evitare carichi lombari maggiori/uguali a 7 Kg …Altro non può essere in contatto con i residenti del villaggio” ( cfr doc 5 in atti resistente) stante il rifiuto di sottoporsi a vaccinazione contro il virus Sars covid.

  1. Tale giudizio non risulta impugnato dalla lavoratrice;
  • a seguito di tale giudizio la – omissis – le ha comunicato , ai sensi dell’articolo 42 dlgs 81/08, la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, con efficacia dall’1.07.2021, ” Data in cui si tornerà ad operare in modalità ordinaria, ovvero, non in smart working” fino a un eventuale giudizio revisione del giudizio di idoneità o cessazione delle limitazioni . ( cfr doc 6)
  • dall’organigramma prodotto in atti non risultano posizioni lavorative confacenti alla professionalità della ricorrente (né per la verità vi è alcuna deduzione al riguardo in ricorso) e quindi la possibilità di reimpiegare diversamente la ricorrente.

È evidente, quindi, che, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, la comunicazione datoriale non costituisce un provvedimento disciplinare per il rifiuto di sottoporsi a vaccinazione, bensì di un doveroso provvedimento di sospensione adottato stante la parziale inidoneità alle mansioni della lavoratrice. In questi casi, infatti, il datore dì lavoro ha l’obbligo di sospendere in via momentanea il dipendente dalle mansioni alle quali è addetto ai sensi dell’ art. 2087 c.c.

A questo riguardo si richiamano le condivisibili argomentazioni espresse dal Tribunale di Modena ( ordinanza del 19.5.21) che, dopo aver richiamato il disposto di cui all’art. 20 D. Lgs. 81/2008 secondo cui: “1. Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi fomiti dal datore di lavoro.

  1. I lavoratori devono in particolare:

a) contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;

b) osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale;…”

ha affermato : “Da una piena lettura della disposizione in esame si evince che il prestatore di lavoro, nello svolgimento della prestazione lavorativa, è tenuto (non solo a mettere a disposizione le proprie energie lavorative ma anche) a osservare precisi doveri di cura e sicurezza per la tutela dell’integrità psico-fisica propria e di tutti i soggetti terzi con cui entra in contatto. Il prestatore di lavoro è quindi titolare di precisi doveri di sicurezza e, pertanto, deve essere considerato soggetto responsabile a livello giuridico dei propri contegni… Si osserva poi che, a opinare diversamente e così ad escludere un obbligo (giuridicamente rilevante) di collaborazione da parte del prestatore di lavoro in materia di sicurezza sul lavoro, si depotenzierebbe in misura più che significativa l’obbligo di sicurezza cui il datore di lavoro è sicuramente astretto ai sensi dell’art. 2087 c.c.”

In ordine alla sussistenza dell’obbligo retributivo da parte del datore di lavoro, poi, la giurisprudenza concordemente ritiene che se le prestazioni lavorative sono vietate dalle prescrizioni del medico competente con conseguente legittimità del rifiuto datoriale di riceverle il datore di lavoro non è tenuto al pagamento della retribuzione (cfr. Tribunale di Verona, Sent. n. 6750/2015; Cass., n. 7619/1995).
Peraltro, come è stato osservato: “la protezione e la salvaguardia della salute dell’utenza rientra nell’oggetto della prestazione esigibile. Tutela della salute dell’utenza, penetrata nella struttura del contratto tanto da qualificare la prestazione lavorativa, che non può che attuarsi (anche) mediante la sottoposizione al trattamento sanitario del vaccino contro il virus Sars Cov-2. Con la conseguenza per cui un ingiustificato contegno astensivo rende la prestazione (ove tramontata la possibilità di ricollocamento aliunde) inutile, irricevibile da parte del datore di lavoro poiché inidonea al soddisfacimento dell’interesse creditorio e alla realizzazione del sinallagma, così come obiettivizzatosi nel regolamento contrattuale ( Trib. Modena cit).

Tali considerazioni assumono carattere assorbente e giustificano il rigetto del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento di euro 1300 a titolo di compensi professionali oltre oneri di legge

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Consiglio di Stato sentenza 3568 del 30/06/2021 – respinto il ricorso contro obbligo di green pass


N. 03568/2021 REG.PROV.CAU.

N. 06007/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

Il Presidente

ha pronunciato il presente

DECRETO

sul ricorso numero di registro generale 6007 del 2021, proposto da
omissis, rappresentati e difesi dall’avvocato Francesco Scifo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero Salute, Ministero Interno, Ministero Economia non costituiti in giudizio;
per la riforma

del decreto cautelare del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 03624/2021, resa tra le parti, concernente DCPCM 17 GIUGNO 2921

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Vista l’istanza di misure cautelari monocratiche proposta dal ricorrente, ai sensi degli artt. 56, 62, co. 2 e 98, co. 2, cod. proc. amm.;

Considerato che l’appello avverso il decreto monocratico cautelare adottato dal Presidente del Tribunale amministrativo regionale, a fronte del testuale disposto normativo di cui all’articolo 56 c.p.a., può essere considerato ammissibile nei soli casi del tutto eccezionali di provvedimento che abbia solo veste formale di decreto ma contenuto sostanzialmente decisorio;

Ritenuto che tali casi di provvedimenti monocratici impugnabili aventi solo veste formale di decreto o “decreti meramente apparenti” si configurano esclusivamente nel caso in cui la decisione monocratica in primo grado non abbia affatto carattere provvisorio ed interinale ma definisca o rischi di definire in via irreversibile la materia del contendere;

Ritenuto che l’istanza cautelare, per quanto ammissibile, non è tuttavia fondata;

Considerato infatti:

1) che le contestate prescrizioni del D.P.C.M. impugnato trovano copertura di fonte primaria nel D.L. n. 52/2021 il cui precetto normativo va applicato per come incorporato dalla legge di conversione n. 87/2021;

2) che le prescrizioni stabilite dal Garante per la riservatezza dei dati personali mantengono la loro efficacia nei confronti delle misure applicative di copertura dell’autorità sanitaria nazionale cui spetta il coordinamento delle iniziative occorrenti;

3) che il “green pass” rientra in un ambito di misure, concordate e definite a livello europeo e dunque non eludibili, anche per ciò che attiene la loro decorrenza temporale, e che mirano a preservare la salute pubblica in ambito sovrannazionale per consentire la fruizione delle opportunità di spostamenti e viaggi in sicurezza riducendo i controlli;

4) che la generica affermazione degli appellanti (pag. 7 appello) secondo cui “allo stato delle conoscenze scientifiche” non vi sarebbe piena immunizzazione e quindi si creerebbe un “lasciapassare falso di immunità”, si pone in contrasto con ampi e approfonditi studi e ricerche su cui si sono basate le decisioni europee e nazionali volte a mitigare le restrizioni anti covid a fronte di diffuse campagne vaccinali;

Considerato quindi che deve essere confermato il decreto del Presidente del T.A.R. del Lazio impugnato in questa sede.

P.Q.M.

Respinge l’istanza cautelare.

Il presente decreto sarà eseguito dall’Amministrazione ed è depositato presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso in Roma il giorno 30 giugno 2021.

 Il Presidente
 Franco Frattini

IL SEGRETARIO

Strumenti correttivi disabilità ora più accessibili. Il ruolo del medico di famiglia

Il Decreto Legge 669/1996, convertito dalla Legge 30/1997, introdusse alcune agevolazioni per l’acquisto di sussidi tecnici e informatici volti a favorire l’autonomia e l’autosufficienza delle persone con disabilità.
Questi benefici sono concessi sia al momento dell’acquisto (IVA agevolata) che, sotto forma di detrazione, in fase di dichiarazione annuale dei redditi.
Furono estese le agevolazioni già previste per gli ausili in senso stretto, anche a prodotti di comune reperibilità che possano essere utili per l’autonomia delle persone con disabilità.

Con il decreto del MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE IN DATA 7 aprile 2021, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 4 maggio 2021, sono state modificate le condizioni e le modalità alle quali è subordinata l’applicazione dell’aliquota IVA ridotta del 4% per l’acquisto di sussidi tecnici ed informatici rivolti a facilitare l’autosufficienza e l’autonomia delle persone con disabilità.
Il provvedimento segue la modifica inserita nel “decreto semplificazioni” del 16 luglio 2020 n. 76, poi convertito nella Legge 11 settembre 2020 n. 120 con l’inserimento dell’art. 29 bis, proprio riguardante l’accesso alle agevolazioni fiscali sui cosiddetti sussidi tecnici e informatici.
Norme che hanno modificato il decreto del Ministro delle finanze del 14 marzo 1998, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 77 del 2 aprile 1998.

Sparisce il collegamento obbligato tra dispositivo e medico specialista.
Anche il medico generale ed il pediatra di libera scelta possono emettere il certificato per la prescrizione autorizzativa.
Con la nuova normativa, le agevolazioni si ampliano fino a ricomprendere tutti quegli strumenti anche di nuova tecnologia o di semplice uso comune, necessari o utili, a rendere la vita del disabile più inclusiva ed autonoma.

Resta immutala la definizione di sussidi tecnici ed informatici contenuta nel primo comma dell’articolo 2 del Decreto del Ministero delle Finanze del 14 marzo 1998: si considerano sussidi tecnici ed informatici rivolti a facilitare l’autosufficienza e l’integrazione dei soggetti portatori di handicap le apparecchiature e i dispositivi basati su tecnologie meccaniche, elettroniche o informatiche, appositamente fabbricati o di comune reperibilità, preposti ad assistere la riabilitazione, o a facilitare la comunicazione interpersonale, l’elaborazione scritta o grafica, il controllo dell’ambiente e l’accesso alla informazione e alla cultura in quei soggetti per i quali tali funzioni sono impedite o limitate da menomazioni di natura motoria, visiva, uditiva o del linguaggio. Rientrano nel beneficio le apparecchiature e i dispositivi basati su tecnologie meccaniche, elettroniche o informatiche, sia di comune reperibilità sia appositamente fabbricati.

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Tribunale di Verona Sez. Lav., 24 maggio 2021, n. 446- La Oss rifiuta il vaccino. Legittima l’aspettativa non retribuita

Proseguono le sentenze contrarie ai lavoratori sanitari novax.
Il Tribunale di Verona, Sez. Lav., sentenza 24 maggio n. 446, è entrato nel merito di uno dei primi ricorsi dopo l’entrata in vigore dell’art. 4 del D.L. 44/2021 ed ha respinto il ricorso d’urgenza proposto da una OSS di una casa di riposo che rifiutò il vaccino e fu posta in aspettativa non retribuita. La sentenza chiarisce anche i limiti dell’obbligo vaccinale respingendo l’eccezione d’incostituzionalità svolta dalla lavoratrice.
La disposizione menzionata non si presta a censure di illegittimità costituzionale sotto il profilo della ragionevolezza (art. 3 Cost.) e della libera sottoposizione a trattamenti sanitari (art. 32 Cost).
L’obbligo di vaccinazione, afferma la sentenza, è circoscritto a settori del tutto peculiari, nel cui ambito è particolarmente avvertita l’esigenza di tutela della salute di soggetti fragili. Lo stesso articolo 4 del D.L. in questione, sancisce che la finalità di tale normativa, è quella di “tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza”, indice di come l’interesse prevalente, che qui dev’essere tutelato, risulta essere quello dei soggetti assistiti.
La vaccinazione, benché non azzeri né il rischio di contrazione della malattia né il rischio della sua trasmissione, tuttavia diminuisce entrambi gli eventi avversi, ossia tanto la possibilità di contagio per il soggetto che si sottopone ad essa tanto la probabilità che lo stesso possa infettare altri soggetti con cui venga a contatto .
Gli studi clinici condotti finora, afferma la sentenza richiamando il documento dell’Istituto Superiore Sanità prodotto dalla ricorrente, hanno permesso di dimostrare l’efficacia dei vaccini nella prevenzione delle forme clinicamente manifeste di COVID-19, anche se la protezione, come per molti altri vaccini, non è del 100%. Inoltre, non è ancora noto quanto i vaccini proteggano le persone vaccinate anche dall’acquisizione dell’infezione.
È possibile, infatti, che la vaccinazione non protegga altrettanto bene nei confronti della malattia asintomatica (infezione) e che, quindi, i soggetti vaccinati possano ancora acquisire SARS-CoV-2, non presentare sintomi e trasmettere l’infezione ad altri soggetti. Ciononostante, è noto che la capacità di trasmissione da parte di soggetti asintomatici è inferiore rispetto a quella di soggetti con sintomi, in particolare se di tipo respiratorio.
Essendo l’ente convenuto una RSA di non rilevanti dimensioni (la stessa ospita 60 anziani), appare nuovamente legittimo il provvedimento dell’Azienda con relativa sospensione della retribuzione, in considerazione dell’impossibilità di assegnare la ricorrente a mansioni che garantiscano la sua operatività lavorativa in spazi separati e non comunicanti con la struttura di accoglienza degli ospiti e vista la ferma volontà di parte ricorrente, formalizzata anche in udienza, di non sottoporsi alla somministrazione del vaccino.

IL TESTO DELLA SENTENZA

TRIBUNALE DI VERONA
Sezione Lavoro

Il Giudice, dott.ssa Cristina Angeletti, nella causa di lavoro n. 446/2021 promossa dalla Lavoratrice
Contro l’Azienda
Ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

Il Giudice, a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 12/05/2021,

PREMESSO CHE

La ricorrente lavora con decorrenza dal 11.6.2019 e con mansioni di operatrice socio sanitaria (OSS) presso l’ente convenuto.
L’Azienda è una RSA avente ad oggetto l’attività di casa di riposo, i servizi alla persona e la promozione dell’assistenza sociosanitaria in favore di persone anziane. La struttura ospita circa 60 anziani, mediamente di anni 80.
In ragione del diniego della ricorrente alla sottoposizione al vaccino anti Covid-19, l’ente resistente ha collocato la stessa in aspettativa non retribuita per l’inidoneità temporanea allo svolgimento delle sue mansioni.
Parte ricorrente chiede, in via principale, accertarsi e dichiararsi l’illegittimità del provvedimento assunto dall’Azienda nei confronti della Lavoratrice, relativo all’aspettativa non retribuita e condannarsi l’Azienda alla reintegra della ricorrente nel suo posto di lavoro con le medesime mansioni e/o mansioni equivalenti/inferiori, oltre che alla corresponsione delle retribuzioni dovute dal momento della sua sospensione.
A fondamento della domanda in via cautelare espone in punto di fumus boni iuris che la vaccinazione non è prevista come obbligatoria e che comunque sarebbe irragionevole imporla atteso che un soggetto vaccinato può contrarre il virus e trasmetterlo ad altri soggetti.

Parte resistente ritiene inammissibili e/o nulle e/o comunque infondate, sia in fatto sia in diritto, le domande di parte ricorrente

OSSERVA

L’asserita assenza dell’obbligo vaccinale, invocata da parte ricorrente al punto 2 del ricorso ex art 700 c.p.c. a sostegno della domanda di reintegra, è infondata alla luce dell’entrata in vigore del D.L. 44/2021, in data successiva al deposito del ricorso. In seguito all’entrata in vigore del D.L. 44/2021, l’art. 4 dello stesso stabilisce come la vaccinazione per la prevenzione dell’infezione da Covid-19 costituisca un requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati.
Lo stesso articolo 4 del D.L. in questione, sancisce, inoltre, la finalità di tale normativa, ovvero quella di “tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza”, indice di come l’interesse prevalente, che qui dev’essere tutelato, risulta essere quello dei soggetti assistiti.
Come affermato in termini qui condivisi nell’ordinanza 328/2021 dal Tribunale di Belluno, è da “ritenere prevalente, sulla libertà di chi non intenda sottoporsi a vaccinazione contro il Covid-19, il diritto alla salute dei soggetti fragili che entrano in contatto con gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario, in quanto bisognosi di cure, e, più in generale, il diritto alla salute della collettività, nell’ambito della perdurante emergenza sanitaria derivante dalla pandemia da Covid-19”.
Ai fini dell’inclusione di un soggetto nell’obbligo vaccinale, occorre che quest’ultimo svolga la propria attività “nelle strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali”. Appare chiaro, quindi, come in capo alla parte ricorrente incomba l’obbligo di vaccinazione. Il provvedimento assunto dall’Azienda appare legittimo ed in linea con il dettato normativo precedentemente citato. Con riferimento alla richiesta di parte ricorrente relativa alla reintegrazione in mansioni equivalenti a quelle proprie dell’OSS, questa deve essere vagliata alla luce del dettato normativo del D.L. 44/2021, che all’art. 9, prevede che qualora “ l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9, non è dovuta la retribuzione, altro compenso o emolumento, comunque denominato”. Essendo l’ente convenuto una RSA di non rilevanti dimensioni (la stessa ospita 60 anziani), appare nuovamente legittimo il provvedimento dell’Azienda con relativa sospensione della retribuzione, in considerazione dell’impossibilità di assegnare la ricorrente a mansioni che garantiscano la sua operatività lavorativa in spazi separati e non comunicanti con la struttura di accoglienza degli ospiti e vista la ferma volontà di parte ricorrente, formalizzata anche in udienza, di non sottoporsi alla somministrazione del vaccino.
La disposizione menzionata non si presta a censure di illegittimità costituzionale sotto il profilo della ragionevolezza (art. 3 Cost.) e della libera sottoposizione a trattamenti sanitari (art. 32 Cost.).
L’obbligo di vaccinazione, infatti, è circoscritto a settori del tutto peculiari, nel cui ambito è particolarmente avvertita l’esigenza di tutela della salute di soggetti fragili. Lo stesso documento prodotto da parte ricorrente (doc. 15), ossia il rapporto ISS (Istituto Superiore Sanità) chiarisce come la vaccinazione, benché non azzeri né il rischio di contrazione della malattia né il rischio della sua trasmissione, tuttavia diminuisce entrambi gli eventi avversi, ossia tanto la possibilità di contagio per il soggetto che si sottopone ad essa tanto la probabilità che lo stesso possa infettare altri soggetti con cui venga a contatto (cfr., doc. 15 all. al ricorso: “ Gli studi clinici condotti finora hanno permesso di dimostrare l’efficacia dei vaccini nella prevenzione delle forme clinicamente manifeste di COVID-19, anche se la protezione, come per molti altri vaccini, non è del 100%. Inoltre, non è ancora noto quanto i vaccini proteggano le persone vaccinate anche dall’acquisizione dell’infezione. È possibile, infatti, che la vaccinazione non protegga altrettanto bene nei confronti della malattia asintomatica (infezione) e che, quindi, i soggetti vaccinati possano ancora acquisire SARS-CoV-2, non presentare sintomi e trasmettere l’infezione ad altri soggetti. Ciononostante, è noto che la capacità di trasmissione da parte di soggetti asintomatici è inferiore rispetto a quella di soggetti con sintomi, in particolare se di tipo respiratorio.”).
Sulla base degli studi scientifici attuali, dunque, la vaccinazione è efficace ai fini dell’abbattimento del rischio di contagio per sé e per il prossimo, di tal che l’imposizione di un obbligo in tal senso nello specifico settore sanitario, alla luce del contemperamento fra l’interesse individuale alla libera scelta vaccinale e l’interesse collettivo alla salute pubblica, non è irragionevole.
In ragione della novità delle questioni trattate, è equo compensare integralmente le spese di lite.

P.Q.M.

Rigetta le domande di cui al ricorso. Compensa le spese di lite. Verona, 20/05/2021
IL GIUDICE
dott.ssa Cristina Angeletti

Regione Lombardia. Le nuove linee guida per la formazione dei medici generali

Con DELIBERAZIONE N° XI / 5004 Seduta del 05/07/2021, la Regione Lombardia ha emanato le nuove linee guida per la formazione del medico di medicina generale.

Il principale cambiamento che si intende attivare nell’ambito del Corso di formazione specifica in Medicina Generale riguarda l’attivazione del tirocinio professionalizzante invece della parte di attività svolta in affiancamento presso un ambulatorio MMG.
Con il D.L. 135/2018 convertito con L. 12/2019, con il successivo D.L. 35/2019 convertito con modificazioni dalla L. 25 giugno 2019 e ancor più durante l’emergenza Covid-19, la normativa ha consentito ai tirocinanti MMG di assumere incarichi, compatibili e riconosciuti ai fini del percorso formativo, facendoli contribuire significativamente ai bisogni espressi dal SSR e al contempo integrando la dimensione professionalizzante con quella formativa.
Questa esperienza ha evidenziato molti aspetti positivi, si ritiene perciò utile promuovere una modifica normativa confermando la possibilità per i medici tirocinanti del Corso MMG di concorrere all’assegnazione degli ambiti carenti e ad incarichi di sostituzione a tempo determinato di medici di medicina generale convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale della durata di almeno 6 mesi continuativi.
Per gli incarichi sopra menzionati, volendo valorizzare la formazione nell’ambito territoriale, si propone di vincolare la scelta al territorio dell’ATS/Polo formativo presso il quale il tirocinante svolge il Corso. Una iniziativa di questo genere viene assunta nell’ottica di favorire il radicamento del tirocinante sul territorio dove svolge il Corso. Si ritiene parimenti
opportuno avanzare una proposta di modifica all’Accordo Collettivo Nazionale affinchè il massimale per i tirocinanti che assumono l’incarico nell’ambito delle aree carenti sia significativamente aumentato, fino a 1.000 assistiti, al fine di garantire che il servizio sia compatibile con la sostenibilità economica della gestione dell’ambulatorio, fermo restando che l’impegno orario non dovrà interferire con l’attività didattica.

Ai tirocinanti che frequentano il tirocinio professionalizzante assumendo l’ambito carente o l’incarico
temporaneo dovrebbero inoltre essere riconosciuti gli stessi incentivi degli altri MMG, in particolare per quanto riguarda la quota per la medicina di gruppo e la quota per il personale di studio.
L’incarico assunto è riconosciuto come attività pratica e di studio guidato dei periodi formativi di “Ambulatorio MMG” e anche per le parti di “Struttura di base (medicina territoriale)”. Sono riconosciute tutte e soltanto le ore di ambulatorio a contratto, sino al raggiungimento del monte ore previsto di attività pratica per i periodi formativi sopra
indicati, e quelle di studio guidato organizzato secondo le presenti linee guida.
Il tirocinante è costantemente seguito nella sua attività come di seguito indicato e deve garantire la partecipazione alle altre attività didattiche (teoriche e pratiche ospedaliere). Il tirocinio professionalizzante può essere svolto dal primo anno di corso.

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Tribunale di Modena. Legittimo sospendere il lavoratore di una cooperativa che rifiuta la vaccinazione covid

L’ art. 20 D. Lgs. 81/2008 (testo unico sicurezza sul lavoro) stabilisce che: ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre  persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni fornite dal datore di lavoro. Obbligo che comprende, anche, quello di utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione. Tale obbligo grava anche sui liberi professionisti che svolgono attività per conto dei datori di lavoro.

Questa è l’opinione espressa nell’Ordinanza della terza sezione civile lavoro del Tribunale di Modena, depositata il 19 maggio scorso, con la quale è stato respinto il ricorso avverso la sospensione di una lavoratrice di una cooperativa che svolgeva servizi in una Rsa in seguito al suo rifiuto di  fare il vaccino contro il Covid. La sentenza segue di poco quella del Tribunale di Belluno che giunse alle medesime conclusioni.

Entrambe le sentenze trattano casi antecedenti all’art. 4 del D. L. 44/2021 ma sono importanti a chiarirne la portata e le conseguenze per i lavoratori, compresi quelli autonomi, che si sottraggono all’obbligo.

In particolare, prosegue la sentenza, il  prestatore di lavoro è titolare di precisi doveri di sicurezza e, pertanto, deve essere considerato soggetto responsabile a livello giuridico dei propri contegni.

Inoltre, prosegue la sentenza, anche l’art. 2094 del codice civile  ha  avuto modo di chiarire che, mediante la stipula di un contratto di lavoro subordinato, il prestatore, a fronte dell’incameramento di una retribuzione,  si obbliga a mettere a disposizione del datore la propria attività di lavoro.

Dalla  lettura della disposizione in esame si evince che il  prestatore di lavoro, nello svolgimento della prestazione lavorativa, è tenuto (non solo a mettere a disposizione le proprie energie lavorative ma anche) a osservare precisi doveri di cura e sicurezza per la tutela dell’integrità psico-fisica propria e di tutti i soggetti terzi con cui entra in contatto.

Si ritiene, afferma il magistrato,  che la disposizione in esame rivesta natura precettiva, con conseguente sanzionabilità giuridica di comportamenti difformi dalla medesima.

A questo si aggiunge il fatto che il datore di lavoro ha un preciso obbligo di sicurezza sia nei confronti del lavoratore che di tutti quelli che all’interno della struttura vivono e lavorano, come previsto dall’art. 2087 del codice civile.

La disposizione in esame contempla infatti un obbligo di prevenzione che impone al datore di lavoro di adottare, non solo  le particolari misure tassativamente imposte dalla  legge in relazione al tipo di attività esercitata, che rappresentano lo standard minimale richiesto dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, ma anche tutte le altre misure che in concreto siano richieste dalla specificità del rischio.

Benchè la vaccinazione non era ancora resa obbligatoria all’interno degli ambienti sanitari , al contempo, afferma la pronuncia,  costituiva e ancora ad oggi costituisce misura sanitaria utile a depotenziare la diffusione dell’agente patogeno di rischio (v. es. art. 1, co. 457, L. 178/2020 “per garantire il più efficace contrasto alla diffusione del virus SARS-CoV-2, che il   Ministro della salute ha adottato  con proprio decreto avente natura non regolamentare ( Piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2), finalizzato a garantire il massimo livello di copertura vaccinale sul territorio nazionale” e ribadito con l’obbligo di vaccinazione per i lavoratori con rilevanza sanitaria di cui all’art. 4 del D. L. 44/2021.

Trattamento sanitario la cui mancata sottoposizione comporta, salvo l’ipotesi derogatoria di cui al co. 2,  e salva la possibilità del datore di lavoro  di adibire  mansioni diverse e in luoghi in cui non si verifichi ii rischio di contagio, la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali e dal diritto a percepire la retribuzione.

La mancata e non giustificabile collaborazione del prestatore di lavoro alla creazione di un ambiente di lavoro salubre e sicuro per se e per gli altri (mediante non sottoposizione ad un trattamento  sanitario  utile  a  contingentare  gli  effetti  negativi  scaturenti  dall’emergenza pandemica in atto) costituisce, afferma la sentenza,  o un contegno che incide in misura significativa sul sinallagma, tanto  da comportare  o una modifica  delle mansioni in concreto  affidabili o addirittura la sospensione temporanea del rapporto.

Il pdf della Sentenza

Il quesito. Il sanitario che non si vaccina non può lavorare?

La norma di legge


Il comma 6 dell’art. 4 recita: “Decorsi i termini per l’attestazione dell’adempimento dell’obbligo vaccinale di cui al comma 5, l’azienda sanitaria locale competente accerta l’inosservanza dell’obbligo vaccinale e, previa acquisizione delle ulteriori eventuali informazioni presso le autorità competenti, ne dà immediata comunicazione scritta all’interessato, al datore di lavoro e all’Ordine professionale di appartenenza.
L’adozione dell’atto di accertamento da parte dell’azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2”.

Non sussiste un obbligo assoluto di svolgere la professione se applicata in settori dove non vi è contatto con il pubblico come per esempio teletriage, refertazione al di fuori dei reparti di degenza, televisita ecc .

Gli obblighi della struttura

Una volta accertato che il sanitario non si è vaccinato, la struttura sanitaria non ha un obbligo di mutare l’organizzazione ed ha il divieto, pena responsabilità verso il paziente, di far svolgere attività in presenza a personale non vaccinato e può disporne la sospensione e/o messa in ferie fino al mese di DIcembre 2021.

E’ vietata qualunque attività e presenza di personale sanitario non vaccinato a contatto con il pubblico e nei reparti di degenza.

Cosa rischia il medico non vaccinato che opera in presenza

Il medico può essere denunciato per esercizio non autorizzato di professione sanitaria e nel caso in cui il paziente venga infettato sarà responsabile civilmente e penalmente.

L’ordine professionale può assumere nei suoi confronti le sanzioni disciplinari più gravi come la sospensione e/o nel caso di diffusione del contagio tra i suoi pazienti anche sanzioni più gravi.

Cosa rischia il medico non vaccinato che opera non in presenza

Il tema deontologico è controverso, a mio avviso, in ragione di una interpretazione Costituzionalmente orientata, il medico è responsabile anche deontologicamente se svolge attività in presenza.

Sullo stesso tema

I Giudici hanno espresso alcune opinioni in proposito.

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Sole24ore sanità. Cassazione/ Porto d’armi, legittima la comunicazione della cartella clinica. Ma il sistema non è coordinato

La massima
È legittima la comunicazione della cartella clinica, da parte di un’azienda sanitaria all’autorità di pubblica sicurezza, in relazione ad un procedimento per la revoca del porto d’armi purché il trattamento avvenga in modo corretto e riservato, secondo le modalità fissate dalla legge e senza una indiscriminata diffusione verso “soggetti indeterminati”.
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Studio dentistico. Assistenti alla poltrona senza titolo ancora per un anno

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Sarà quindi ancora possibile “assumere dipendenti con la qualifica contrattuale di Assistente alla poltrona, privi dell’apposito titolo, fermo restando l’obbligo da parte dei datori di lavoro di provvedere affinché gli stessi acquisiscano l’attestato di qualifica/certificazione di Assistente di studio odontoiatrico entro trentasei mesi dall’assunzione”.