sez. III, 20 dicembre 2021, n. 8454 – Pres. (ff.) Noccelli, Est. Fedullo,
La massima
Il medico di medicina generale che certifica il pericolo di un proprio paziente, che svolge la professione sanitaria, a somministrare il vaccino anti covid-19 deve indicare la patologia di cui soffre l’interessato, e ciò in quanto il controllo demandato alla ASL – responsabile a verificare l’idoneità della certificazione all’uopo rilasciata – concerne pur sempre la certificazione del medico di medicina generale, la quale però, proprio perché costituente l’oggetto (diretto ed esclusivo) dell’attività di verifica della ASL, deve consentire all’Amministrazione di appurare la sussistenza dei presupposti dell’esonero .
Questa è la massima contenuta nella sentenza del sez. III, 20 dicembre 2021, n. 8454 – Pres. (ff.) Noccelli, Est. Fedullo, emessa nel corso di un procedimento proposto da un medico di medicina generale Laziale, teso a fare accertare la violazione dell’art. 4, comma 2, d.l. n. 44/2021 da parte dell’Azienda Sanitaria che lo sospese per omessa vaccinazione.
Il Consiglio di Stato, dopo avere confermato la propria competenza a giudicare la materia, ha affermato che l’art. 4, comma 2, d.l. n. 44 del 2021 ricollega l’esonero dall’obbligo vaccinale Covid-19 al solo “caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale”.
La posizione del medico ricorrente
In particolare, il medico produsse una certificazione nella quale si dichiarava che l’interessato era affetto da “patologie che non sono oggetto di sperimentazione da parte di alcuna delle Case Farmaceutiche produttrici di vaccini anti Covid e pertanto la mancata sperimentazione costituisce accertato pericolo per la salute del paziente essendo tale la mancata sperimentazione specifica”.
L’azienda sanitaria, affermò l’inidoneità delle due certificazioni prodotte dall’interessato al fine di giustificare l’esenzione dall’obbligo vaccinale, correlata dalla citata disposizione alla sussistenza di un “accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale”, dal momento che le stesse “nulla dicono circa la patologia sofferta e, soprattutto, circa la documentazione base da cui tale esenzione sarebbe in effetti scaturita”.
Il ruolo della certificazione del medico generale
Ebbene, prosegue la sentenza, poiché la norma, nella sua formulazione testuale, attribuisce al medico di medicina generale il compito di attestare l’ ”accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate”, ne deriva che di tali elementi costitutivi della fattispecie di esonero deve darsi espressamente atto nella certificazione all’uopo rilasciata: l ’ ”attestazione” delle “specifiche condizioni cliniche documentate”, non consiste nella (ed il relativo compito non può quindi ritenersi assolto mediante una) mera dichiarazione della loro esistenza “ab externo”, essendo necessario, ai fini del perfezionamento della fattispecie esoneratrice, che delle “specifiche condizioni cliniche documentate” sia dato riscontro nella certificazione, unitamente al “pericolo per la salute” dell’interessato che il medico certificatore ritenga di ricavarne.
Del resto, ove così non fosse, sarebbe neutralizzato qualsiasi potere di controllo – anche nella forma “minima” e “mediata” della esaustività giustificativa della certificazione, la quale implica e sottende la possibilità di vagliare, quantomeno secondo un parametro “minimo” di “attendibilità”, la rispondenza della certificazione alla finalità per la quale è prevista, che la parte appellante esclude essere esercitabile dalla ASL, restando devoluta al medico certificatore ogni decisione in ordine alla (in)sussistenza dell’obbligo vaccinale: esito interpretativo che, tuttavia, risulta dissonante rispetto alla pregnanza – in termini sostanziali (con il riferimento alle “specifiche condizioni cliniche” ed al “pericolo per la salute”) e probatori (allorché si richiede che le prime siano “documentate” ed il secondo “accertato”) delle condizioni esoneratrici, delineate nei termini esposti dal legislatore.
Il certificato e la privacy
Il Consiglio di Stato ha ritenuto in conformità alla sentenza del Tar Lazio impugnata, che nella fattispecie non vi fosse neppure la lamentata violazione del dovere di riservatezza.
Le esigenze di tutela della sfera di riservatezza dell’interessato, afferma la sentenza, deve tener conto del “necessario bilanciamento tra riservatezza e trattamento dei dati sensibili da parte della competente amministrazione deputata alla verifica di attendibilità della attestazione di esonero dalla vaccinazione [trattamento da intendere nella specie anche come semplice “consultazione” del dato stesso, ai sensi dell’art. 4, primo par., n. 2), del Regolamento 27 aprile 2016, n. 2016/679/UE, d’ora in avanti “Regolamento UE” è stato direttamente operato “a monte” dal legislatore di emergenza, a favore ossia della possibilità di trattare tali dati ad opera della competente PA, nel momento in cui il richiamato comma 5 dell’art. 4 del DL n. 44 del 2021 ha previsto l’obbligo, a carico dell’interessato, di versare agli atti del procedimento non solo la “certificazione” del proprio medico curante ma anche tutta la “documentazione comprovante” le ragioni poste alla base di siffatto esonero vaccinale”, sia perché “una simile conclusione si rivela inoltre pienamente coerente con l’ordinamento interno ed eurounitario in materia di tutela della riservatezza”.