Studio Legale Avv. Paola Maddalena Ferrari

Tar lombardia respinge ricorso sanitari novax ma apre alle telemedicina

LA MASSIMA

È legittima l’imposizione  del trattamento sanitario obbligatorio, se questo apporta benefici non solo alla salute dell’obbligato ma anche alla salute collettiva e se le eventuali conseguenze negative per la salute dell’obbligato si assestino nei limiti della normale tollerabilità dei rischi avversi, conseguenti a tutti i trattamenti sanitari (Corte costituzionale, 18 gennaio 2018, n. 5; 14 dicembre 2017, n. 268).

Questa è la posizione espressa dalla prima sezione del  Tar della Lombardia che ha richiamato numerose pronunce della Corte Costituzionale sul tema in tre sentenze consecutive (140141 del 24/01/2022)  ed una leggermente diversa che ha parzialmente accolto una eccezione del sanitario ( 109 del 17/01).

Il Collegio ritiene che, alla luce della giurisprudenza costituzionale sopra citata, l’indifferibile esigenza di affrontare l’emergenza sanitaria in atto e di predisporre idonei ed efficaci strumenti di contenimento dei contagi da Sars-Cov-2 nonché la necessità di consentire a tutti gli individui l’accesso alle cure sanitarie in condizioni di sicurezza e, in applicazione del principio solidaristico, di tutelare la salute individuale dei soggetti più fragili, per età o per pregresse patologie, giustifichino il temporaneo sacrificio dell’autonomia decisionale degli esercenti le professioni sanitarie, in ordine alla somministrazione del vaccino.

All’affidamento che i pazienti ripongono nella somministrazione delle cure in condizioni di sicurezza, che assicurino, oltre alla sicurezza intrinseca della somministrazione della cura, anche la sicurezza dei luoghi nei quali la stessa viene somministrata, consegue necessariamente l’adozione di tutte le precauzioni possibili per evitare che essi incorrano in concreti rischi di contagio.

Esigere che la somministrazione del vaccino al personale sanitario sia condizionata alla manifestazione di un consenso libero ed informato non consentirebbe pertanto di perseguire efficacemente ed in tempi ristretti l’obiettivo di ridurre la diffusività del contagio e di decongestionare il sistema sanitario nazionale.

La previsione di un obbligo vaccinale settoriale e non generalizzato, esteso a tutti gli operatori del settore sanitario, si rivela pertanto coerente con la tutela della salute dei pazienti e con l’affidamento che gli stessi ripongono nella somministrazione delle cure in condizioni di massima sicurezza, proprio negli ambienti sanitari che, secondo l’id quod plerumque accidit, comportano un maggior rischio di trasmissione virale.

La sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o che comportino comunque il rischio di diffusione del contagio non può però coincidere con la sospensione dall’iscrizione all’albo professionale, ancorché la vaccinazione sia stata elevata a <<requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati>> ( Tar lombardia 109/2022).

L’OBBLIGO VACCINALE NON CONTRASTA CON LA NORMATIVA EUROPEA

I ricorrenti tuti  esercenti le professioni sanitarie od operatori di interesse sanitario,  domandavano, previa sospensione della loro efficacia, l’annullamento degli inviti, comunicati dalle competenti Agenzie di tutela della salute (ATS), a sottoporsi alla vaccinazione obbligatoria nonché il risarcimento dei danni conseguenti alla lesione delle libertà di autodeterminazione e di esercizio dell’attività lavorativa.

Eccepirono,  in  particolare, il contrasto della norma impositiva dell’obbligo vaccinale con il diritto euro-unitario e convenzionale, in particolare con gli articoli 3 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE) e con l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), nonché con il principio di proporzionalità, per cui la stessa, in ossequio al principio di primazia del diritto dell’Unione europea.

Il Collegio ha ritenuto insussistenti i presupposti dell’obbligo di disapplicazione della norma interna confliggente con il diritto euro-unitario, in particolare con l’articolo 3, comma 2, della Carta europea dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nella parte in cui prevede che, nell’ambito della medicina e della biologia, devono essere rispettati <<il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge>>, e con l’articolo 52, comma 2, della stessa, nella parte in cui prevede che le eventuali limitazioni all’integrità fisica e psichica degli individui devono corrispondere effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui, sempre che venga rispettato il contenuto essenziale dei diritti e delle libertà tutelati dalla Carta.

Ai sensi dell’articolo 51 della CDFUE, l’obbligo di promuovere l’applicazione delle disposizioni della Carta è infatti limitato all’attuazione delle competenze dell’Unione, tra le quali non rientra l’intervento sanitario in tema di vaccinazioni obbligatorie, il quale è regolato esclusivamente dalla normativa interna degli Stati membri.

SOSPESA LA DETERMINA ATS CHE SOSPENDE ANCHE LE MANSIONI NON A RISCHIO

Il tema è stato trattato dalla stessa sezione nella sentenza  109/2022, forse più importante ed intrigante per le questioni trattate,  che ha accolto il punto del ricorso che riguardava i limiti della normativa rispetto al diritto al lavoro dando una interpretazione costituzionalmente orientata per definire lo stretto spartiacque tra diritto alla salute collettiva e diritto al lavoro. Tema già trattato dal Tribunale del lavoro di Viterbo (Sole24ore sanità 24/01/2022).

Il Tar ha accolto l’eccezione del sanitario ed  annullato l’atto di accertamento adottato dall’ATS nella parte in cui estende la sospensione dal diritto di svolgere le prestazioni professionali anche a quelle prestazioni che, per loro natura o per le modalità di svolgimento, non implicano contatti interpersonali o non sono rischiose per la diffusione del contagio da Sars-CoV-2.

Un’apertura importante in quanto legittima i datori di lavoro ad utilizzare comunque il sanitario in lavori, magari demansionati o diversi, che possono essere svolti a distanza. Indicazione non da poco se si considera la pressione in cui versa il sistema sanitario dove ogni competenza può essere utile.

Al comma 1 dell’articolo 4, il legislatore ha qualificato la vaccinazione per la prevenzione dell’infezione da Sars-CoV-2 come <<requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati>>.

Nella direttiva quadro del Consiglio 2000/78/CE del 27 novembre 2000, all’articolo 4, paragrafo 1, è previsto che gli Stati membri, <<per la natura di un’attività lavorativa o per il contesto in cui viene espletata>> possono stabilire <<un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato>>.

Il Collegio ritiene, pertanto, che l’unica interpretazione della norma che consenta di perseguire il fine primario della tutela precauzionale della salute collettiva e della sicurezza nell’erogazione delle prestazioni sanitarie in una situazione emergenziale, senza comprimere in modo irragionevole – sia pure temporaneamente – l’interesse del sanitario a svolgere un’attività lavorativa, sia quella di limitare, come espressamente enunciato dall’articolo 4, comma 6, gli effetti dell’atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale allo svolgimento delle prestazioni e delle mansioni che comportano contatti interpersonali e di quelle che, pur non svolgendosi mediante un contatto interpersonale, comportino un rischio di diffusione del contagio da Sars-CoV-2.

La locuzione <<in qualsiasi altra forma>>, che il legislatore ha utilizzato per colorare il divieto di svolgimento di prestazioni o mansioni diverse da quelle che implicano contatti interpersonali, postula comunque che l’attività lavorativa si risolva in un rischio concreto << di diffusione del contagio da SARS-CoV-2>>. Osserva il Collegio che, nell’ambito delle professioni sanitarie, esistono delle attività, praticabili grazie alla tecnologia sanitaria, che il personale sanitario può svolgere senza necessità di instaurare contatti interpersonali fisici, quali ad esempio l’attività di telemedicina, di consulenza, di formazione e di educazione sanitaria, di consultazione a distanza mediante gli strumenti telematici o telefonici, particolarmente utili per effettuare una prima diagnosi sulla base di referti disponibili nel fascicolo sanitario telematico e per fornire un’immediata e qualificata risposta alla crescente domanda di informazione sanitaria, le quali non potrebbero essere svolte in caso di sospensione dall’esercizio della professione sanitaria.

L’ordinamento ricollega, prosegue la sentenza,  allo svolgimento di attività per le quali è richiesta l’iscrizione in un albo professionale, nell’ipotesi in cui questa sia stata temporaneamente sospesa, conseguenze di notevole rilievo sotto il profilo disciplinare, civile (ai sensi dell’articolo 2231 del codice civile, il contratto stipulato con il professionista che non sia iscritto all’albo è nullo e non conferisce alcuna azione, neppure quella sussidiaria di cui all’articolo 2041 del codice civile, per il pagamento della retribuzione) e penale (la giurisprudenza ritiene che soggetto attivo del delitto di esercizio abusivo della professione, previsto e punito dall’articolo 348 del codice penale, sia anche il professionista sospeso dall’albo).

La sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o che comportino comunque il rischio di diffusione del contagio non può dunque coincidere con la sospensione dall’iscrizione all’albo professionale, ancorché la vaccinazione sia stata elevata a <<requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati>>.

IL DIRITTO DEL PAZIENTE DI SAPERE SE IL SANITARIO NON È VACCINATO

Il Collegio non ignora che un interesse di notevole rilievo, coinvolto nel procedimento disciplinato dall’articolo 4, sia anche quello dei pazienti di essere informati dell’avvenuto adempimento dell’obbligo vaccinale da parte dei professionisti ai quali si rivolgono, specialmente ove la domanda di prestazioni sanitarie avvenga per scelta diretta del professionista e non tramite il filtro dell’accesso ad una struttura sanitaria – pubblica o privata – che si faccia garante delle condizioni di sicurezza sui luoghi di lavoro.

Il diritto dei pazienti ad essere informati è infatti un corollario del diritto alla sicurezza delle cure, che l’articolo 1, comma 1, della legge 8 marzo 2017, n. 24, individua come parte costitutiva del diritto alla salute.

Orbene, se è vero che la sospensione dall’albo professionale è idonea a realizzare la funzione notiziale della inidoneità temporanea del sanitario a svolgere le prestazioni professionali, tale funzione ben può essere garantita mediante specifiche e adeguate forme di pubblicità, la cui individuazione rientra nella competenza degli Ordini professionali.

Saranno in ogni caso demandate all’autonomia ed all’autogoverno dei singoli Ordini professionali, ai quali è riservato in via esclusiva il compito di tenere aggiornato l’albo degli iscritti, sia la predisposizione delle modalità di annotazione dell’atto di accertamento di cui all’articolo 4, comma 6, che l’esercizio della fondamentale funzione di vigilanza sul rispetto della misura interdittiva di natura preventiva.

Resta fermo, tuttavia, che l’esercizio della professione al di fuori degli stretti limiti sopra evidenziati è idoneo ad integrare un comportamento illecito, rilevante a tutti gli effetti di legge.

Continua a leggere...

Infermiere già in aspettativa ai sensi della legge 104/1992 non può essere sospeso per mancata vaccinazione.

Con la sentenza del 26.11.2021 a firma della Dott.ssa Porcelli, il Tribunale di Milano ha accolto la richiesta di reintegra di un’infermiera sospesa per mancato assolvimento dell’obbligo vaccinale nonostante la stessa si trovasse in aspettativa retribuita biennale ex lege 104/1992.

Per il Giudice, in particolare, la sospensione presuppone, al momento della sua adozione, lo svolgimento in concreto delle prestazioni professionali da parte del soggetto che astrattamente rientra tra i lavoratori destinatari dell’obbligo di vaccinazione.

Secondo la sentenza il rapporto di lavoro della ricorrente già sospeso per la fruizione dell’aspettativa prevista dalla L. 104/1992 non può essere sospeso per altra motivazione.

Obbligo vaccinale per i cinquantenni

Il Consiglio dei Ministri, ha pubblicato, nella  Gazzetta Ufficiale n. 4 del 7 gennaio 2022, il Decreto n. 1 del 7 gennaio 2022, con misure urgenti per fronteggiare l’emergenza COVID-19, in particolare nei luoghi di lavoro, nelle scuole e negli istituti della formazione superiore.

Queste le principali disposizione :

Il testo introduce l’obbligo vaccinale per tutti coloro che hanno compiuto i 50 anni. Per i lavoratori pubblici e privati con 50 anni di età sarà necessario il Green Pass Rafforzato per l’accesso ai luoghi di lavoro a far data dal 15 febbraio prossimo.

Senza limiti di età, l’obbligo vaccinale è esteso al personale universitario così equiparato a quello scolastico.

È esteso l’obbligo di Green Pass ordinario a coloro che accedono ai servizi alla persona; pubblici uffici, servizi postali, bancari e finanziari, attività commerciali fatte salve eccezioni che saranno individuate con atto secondario per assicurare il soddisfacimento di esigenze essenziali e primarie della persona.

Cambiano le regole per la gestione dei casi di positività.

Scuola dell’infanzia

Già in presenza di un caso di positività, è prevista la sospensione delle attività per una durata di dieci giorni.

Scuola primaria (Scuola elementare)

Con un caso di positività, si attiva la sorveglianza con testing. L’attività in classe prosegue effettuando un test antigenico rapido o molecolare appena si viene a conoscenza del caso di positività (T0), test che sarà ripetuto dopo cinque giorni (T5).

In presenza di due o più positivi è prevista, per la classe in cui si verificano i casi di positività, la didattica a distanza (DAD) per la durata di dieci giorni.

Scuola secondaria di I e II grado (Scuola media, liceo, istituti tecnici etc etc)

Fino a un caso di positività nella stessa classe è prevista l’auto-sorveglianza e con l’uso, in aula, delle mascherine FFP2.

Con due casi nella stessa classe è prevista la didattica digitale integrata per coloro che hanno concluso il ciclo vaccinale primario da più di 120 giorni, che sono guariti da più di 120 giorni, che non hanno avuto la dose di richiamo. Per tutti gli altri, è prevista la prosecuzione delle attività in presenza con l’auto-sorveglianza e l’utilizzo di mascherine FFP2 in classe.

Con tre casi nella stessa classe è prevista la DAD per dieci giorni

Scarica il decreto legge 7 gennaio 2022

Continua a leggere...

Responsabilità infermiere struttura privata per manomissione cartella infermieristica

10/03/2020 n. 9393 – Cassazione penale – sez. V (ud. 16/12/2019, dep. 10/03/2020)

MASSIMA

L ‘infermiere in ragione dell’attività espletata, riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio, in quanto tale attività persegue finalità pubbliche di rilievo costituzionale, garantendo il diritto alla salute, ai sensi dell’art. 32 Cost. e, come evidenziato dalla L. n. 251 del 2000, art. 1 si inscrive appunto in un’attività diretta alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva. 

Due in infermieri hanno falsificato la scheda infermieristica indicando di avere effettuato il controllo dei valori della diuresi e delle verifiche posturali.

Il primo quale materiale esecutore ed il secondo quale istigatore, attestato falsamente nelle schede infermieristiche i valori della diuresi e delle verifiche posturali eseguite su alcuni pazienti, nonchè il primo, sempre su istigazione del secondo, apponendo su tali schede anche la firma del secondo.

L‘infermiere in ragione dell’attività espletata, riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio, in quanto tale attività persegue finalità pubbliche di rilievo costituzionale, garantendo il diritto alla salute, ai sensi dell’art. 32 Cost. e, come evidenziato dalla L. n. 251 del 2000, art. 1 si inscrive appunto in un’attività diretta alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva.

Questo anche se operano in struttura privata – Più volte questa Corte ha evidenziato come debba essere riconosciuta la qualifica di incaricati di un pubblico servizio ad infermieri ed operatori tecnici addetti all’assistenza, con rapporto diretto e personale, del malato .Tale inquadramento non risulta scalfito dal fatto che l’espletamento di tale attività sanitaria avvenga in strutture private accreditate (come quella nella quale si sono svolti i fatti, secondo l’elenco pubblicato dalla ASL , ovvero che per essa si sia fatto ricorso a strumenti privatistici, o comunque che la disciplina del rapporto di lavoro sia retta dalle norme del codice civile, poichè la rilevanza pubblica dell’attività svolta non risulta eliminata, siccome determinata dalle oggettive finalità di tutela e dal rapporto diretto e personale dell’infermiere con il malato (arg. ex. Sez. 2, n. 769 dell’11/11/2005, Rv. 232989).

Nel momento in cui l’infermiere redige la cartella infermieristica esercita anche un’attività amministrativa con poteri certificativi assimilabili a quelli del Pubblico Ufficiale.

Le false attestazioni circa i valori della diuresi e delle verifiche posturali dei pazienti apposte nelle schede infermieristiche oggetto di contestazione devono dunque ritenersi ideologicamente false, ai sensi degli artt. 476-479 c.p.

LA SENTENZA
1.Con sentenza dell’11.12.2018 la Corte d’Appello di Salerno ha confermato la sentenza del Tribunale di Salerno del 20.06.2017 di condanna di Omissis. e Omissis alla pena di mesi nove di reclusione, per i reati di cui agli artt. 81 cpv., 476 e 479 c.p. per avere entrambi, quali infermieri della casa di cura, Campolongo Hospital s.p.a., il primo quale materiale esecutore ed il secondo quale istigatore, attestato falsamente nelle schede infermieristiche i valori della diuresi e delle verifiche posturali eseguite su alcuni pazienti, nonchè il primo, sempre su istigazione del secondo, apponendo su tali schede anche la firma del secondo.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, a mezzo del difensore di fiducia, lamentando con due motivi:

-con il primo motivo, l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), avendo la Corte territoriale errato nel ritenere che i due imputati fossero investiti di funzioni pubblicistiche rilevanti ex art. 357 c.p.: se ciò può valere per gli infermieri delle strutture pubbliche con riferimento alla compilazione delle cartelle cliniche, da considerarsi alla stregua di atti pubblici, a diversa soluzione deve pervenirsi relativamente alle cartelle redatte dal personale di strutture non accreditate con il servizio sanitario nazionale, assimilabili a mere scritture private, redatte e conservate al fine di promemoria dell’attività svolta; da ciò consegue l’insussistenza del reato contestato, potendosi al più parlare del reato di cui all’art. 485 c.p., depenalizzato;

-con il secondo motivo, la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e); invero la prova risulta travisata la prova, atteso che la teste P., esperta in grafologia, ha riconosciuto la falsità delle firme apposte a nome di M.M. sui fogli infermieristici, ma non ha riferito le stesse al F. e gli infermieri di turno al momento del fatto erano quattro; tali firme sono state ricondotte alla mano del F., considerato autore di queste, soltanto per la circostanza fortuita di essere stato colto nella disponibilità delle schede infermieristiche.

3. In data 9.12.2019 la Casa di Cura Campolongo Hospital s.p.a., a mezzo del difensore, ha depositato memoria con la quale ha concluso per l’inammissibilità od infondatezza dei ricorsi, non confrontandosi con il nucleo delle argomentazioni della sentenza impugnata.

 IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili, siccome manifestamente infondati.

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, atteso che gli imputati non si confrontano con la natura delle funzioni da essi esercitate e con la natura degli atti (schede infermieristiche) da essi falsamente redatte.

1.1. Ed invero, l’infermiere in ragione dell’attività espletata, riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio, in quanto tale attività persegue finalità pubbliche di rilievo costituzionale, garantendo il diritto alla salute, ai sensi dell’art. 32 Cost. e, come evidenziato dalla L. n. 251 del 2000, art. 1 si inscrive appunto in un’attività diretta alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva.

1.2. Più volte questa Corte ha evidenziato come debba essere riconosciuta la qualifica di incaricati di un pubblico servizio ad infermieri ed operatori tecnici addetti all’assistenza, con rapporto diretto e personale, del malato (Rv. 204520). Tale inquadramento non risulta scalfito dal fatto che l’espletamento di tale attività sanitaria avvenga in strutture private accreditate (come quella nella quale si sono svolti i fatti, secondo l’elenco pubblicato dalla ASL di (OMISSIS)), ovvero che per essa si sia fatto ricorso a strumenti privatistici, o comunque che la disciplina del rapporto di lavoro sia retta dalle norme del codice civile, poichè la rilevanza pubblica dell’attività svolta non risulta eliminata, siccome determinata dalle oggettive finalità di tutela e dal rapporto diretto e personale dell’infermiere con il malato (arg. ex. Sez. 2, n. 769 dell’11/11/2005, Rv. 232989).

Nel momento in cui l’infermiere redige la cartella infermieristica esercita anche un’attività amministrativa con poteri certificativi assimilabili a quelli del P.U..

Solo quando l’attività svolta dagli infermieri – per la quale viene percepito un corrispettivo, risulti estranea alle attribuzioni di ufficio ed al particolare rapporto intercorrente con il malato, siccome compiuta nell’esercizio della loro professione sanitaria – può parlarsi di attività svolta da persone esercenti un servizio di pubblica necessità, la cui falsificazione è punita a norma dell’art. 481 c.p..

1.3.Nel contesto indicato correttamente agli imputati sono stati ascritti i reati di cui agli artt. 476 e 479 c.p. per le false attestazioni descritte nelle imputazioni, proprio perché, come accennato, l’incaricato di un pubblico servizio, nel momento in cui compila la cartella infermieristica o le schede che la compongono – atti pubblici destinati a confluire nella cartella clinica, per quanto si dirà esercita poteri certificativi connessi alla sua attività, che si esplicano attraverso il rilascio di documenti aventi efficacia probatoria. Peraltro, la disposizione dell’art. 493 c.p. non dilata l’area degli atti pubblici (sono tali solo quelli formati nell’esercizio di una pubblica funzione), ma equipara quelli redatti dagli incaricati di un pubblico servizio agli atti pubblici, estendendo ai primi la tutela penale predisposta per i secondi.

1.4. La cartella infermieristica e le schede che la compongono, contiene la registrazione dei dati, dei rilievi effettuati, delle informazioni raccolte, e l’insieme dei documenti di pertinenza infermieristica in relazione ad un determinato paziente, contribuendo ad assicurare il piano di assistenza personalizzato dello stesso. La cartella infermieristica e le schede che di essa fanno parte è componente integrante della cartella clinica, in quanto completa la documentazione sanitaria del paziente e andrà ricongiunta con l’archiviazione, ad essa. Costituendo, dunque, parte integrante della cartella clinica ne condivide la natura di atto pubblico munito di fede privilegiata (Sez. 5, n. 31858 del 16/04/2009 Rv. 244907), con riferimento alla sua provenienza e ai fatti da questi attestati come avvenuti in presenza dell’autore.

Le false attestazioni circa i valori della diuresi e delle verifiche posturali dei pazienti apposte nelle schede infermieristiche oggetto di contestazione devono dunque ritenersi ideologicamente false, ai sensi degli artt. 476-479 c.p..

2. Manifestamente infondato si presenta il secondo motivo di ricorso, circa la non riferibilità al F. delle false annotazioni e firme apposte a nome di ” M.M.” sui fogli infermieristici. In proposito, i ricorrenti non si confrontano con quanto evidenziato nella sentenza impugnata, che ha ritenuto corretto il percorso logico seguito dal primo giudice, in merito alla riferibilità ad entrambi gli imputati delle false attestazioni contestate. In proposito, quanto al F., la Corte territoriale, senza incorrere in vizi, ha ritenuto l’imputato autore materiale dei falsi sulla base: 1) delle dichiarazioni rese dalla Dott.ssa C., medico in servizio presso la Casa di Cura, la quale ebbe a sorprendere il F. con le schede tra le mani, e insospettitasi provvedeva a controllare uno dei pazienti ricoverati, verificando così che la quantità urine raccolte nella sacca era diversa da quella riportata nella scheda; inoltre, risultava già annotato il dato della diuresi del paziente in ordine alle ore notturne, però ancora non trascorse, mentre la firma apposta sulla scheda era quella del M., ancora non in servizio; 2) dell’accertamento grafologico dal quale è emersa la falsità delle annotazioni apposte sulle schede a firma del M.; 3) delle ammissioni degli stessi imputati, che hanno confermato nelle lettere di risposta alla contestazione disciplinare i fatti oggetto di imputazioni, tanto che il giudice del lavoro ha ritenuto sussistente la giusta causa di licenziamento. A fronte di tali valutazioni il F. ha sviluppato censure del tutto generiche e pertanto inammissibili. Sul punto vale la pena richiamare i principi più volte espressi da questa Corte, secondo cui i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato. (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013).

3. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè, trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile a colpa dei ricorrenti (Corte Costituzionale n. 186 del 7-13 giugno 2000), al versamento a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare per ciascuno in Euro tremila a favore della Cassa delle Ammende, oltre alla rifusione delle spese della parte civile liquidate in complessivi Euro tremilacinquecento oltre accessori.

P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno a favore della Cassa delle Ammende, oltre alla rifusione delle spese della parte civile liquidate in complessivi Euro tremilacinquecento oltre accessori.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2020

Tribunale di Roma. Respinto il ricorso dell’operatore novax. Il vaccino è requisito per poter svolgere l’attività lavorativa

Massima

Alla luce di questa interpretazione sistematica si può pertanto ritenere confermato, su di un piano più generale, che, per i lavoratori addetti a mansioni ad alto rischio, la sottoposizione ad un vaccino disponibile si configura innanzitutto come un onere. Ciò in quanto l’essere vaccinato, nella situazione di estrema gravità della pandemia da Covid-19, può assumere la rilevanza di un requisito sanitario essenziale per lo svolgimento in sicurezza di determinate prestazioni lavorative e financo incidere sul giudizio medico di inidoneità alle mansioni. Dal punto di vista del contratto, un requisito soggettivo essenziale per lo svolgimento della prestazione si configura infatti come un onere a carico di chi deve possederlo o acquisirlo, come può essere, ad esempio, il porto d’armi per la guardia giurata, una patente speciale per l’autotrasportatore, etc.

Tribunale di Roma, Sez. Feriale lavoro, Decreto di rigetto 20 agosto 2021, n. 79835

SEZIONE FERIALE LAVORO

In persona del Giudice in composizione monocratica

Dott. Paolo Mormile

TRA

N.A., rappresentato e difeso per procura alle liti in calce al ricorso congiuntamente e disgiuntamente dall’Avv. S.Z. del Foro di ******** e Avv. A.R. del Foro di ****** elett.te dom.to nello studio dell’Avv. S.Z. in ******* Via *** ***, **;

RICORRENTE

E

E*** SPA in persona del legale rappresentante pro tempore,con sede legale in Roma, *** *** ***, n. **, rappresentatae difesa dagli Avv.ti R.A. e M.A., elettivamente domiciliata nel loro studio in Roma Via *** n. ***, per procura allegata al telematico;

RESISTENTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

– nel procedimento introdotto con ricorso ex art. 700 c.p.c. del 2.8.2021, richiedeva 1) In via principale nel merito accertare e dichiarare la nullità/annullabilità/illegittimità/inefficacia dei provvedimenti di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione del 06.04.2021 e del 02.07.2021, revocando con effetto retroattivo l’efficacia degli stessi per i motivi di cui sopra e, per l’effetto, ordinare alla società E*** S.p.A., in persona del rappresentante legale pro tempore, l’immediata riammissione/reintegra del ricorrente nel posto di lavoro, previa declaratoria di nullità e/o annullabilità e/o disapplicazione del giudizio di inidoneità, in quanto nullo e/o annullabile e/o inutilizzabile non essendo applicabile il D.Lgs. 81/2008, e per l’effetto ordinare che venga corrisposto al lavoratore ricorrente – così come reintegrato- lo stipendio dovuto e non versato, anche in considerazione delle attestate motivazioni cliniche di esonero dalla vaccinazione, emettendo ogni altro provvedimento d’urgenza, che appaia, secondo le circostanze, più idoneo ad eliminare il pregiudizio subito e subendo per tutti i motivi dedotti nel corpo dell’atto. 2) Con riserva di promuovere giudizio di merito anche per il risarcimento dei danni. Con vittoria di spese e competenze del presente giudizio, da distrarre in favore dei sottoscritti procuratori che si dichiarano antistatari.

L’odierno ricorrente ha esposto di aver prestato la propria attività lavorativa alle dipendenze della società resistente presso il *** *** , inquadrato con CCNL Aiop in categoria B3, con la mansione di operatore sociosanitario dal 1996 e fino al giorno 06.04.21. Il rapporto si è evoluto senza elementi degni di nota sino al giorno in cui il ricorrente si è visto recapitare raccomandata a/r datata 06.04.21 a firma del Responsabile del Personale, sig. *** ***, con la quale la società odierna resistente allegando il giudizio di non idoneità, comunicava al ricorrente quanto segue: “prendiamo atto che, con giudizio del 31 marzo 2021, il medico competente l’ha ritenuta temporaneamente non idoneo alla mansione specifica a Lei affidata. Non potendo ricollocarla e, non potendo ricollocare in altra mansione compatibile con la Sua inidoneità, nel rispetto della Sua professionalità e categoria contrattuale nonché della organizzazione aziendale, in attesa di ulteriori determinazioni, anche in

ottemperanza a quanto disposto dall’art. 2087 c.c. ed al D.Lgs. 81/2008, siamo costretti a collocarla in aspettativa non retribuita per una durata di tre mesi dal ricevimento della presente. Ove entro tale termine fosse accertata la Sua idoneità alla mansione a Lei assegnata, potrà riprendere il Suo regolare servizio mentre, in caso contrario, dovremo prendere i provvedimenti necessari per garantire le tutele di Legge, ivi compresa l’eventuale risoluzione del rapporto di lavoro”

Lamenta che il sig. N., in data 31.03.2021, non ha effettuato alcuna visita dal Medico Competente, essendo in permesso retribuito ex L.n. 104/92. A riguardo fa espressa riserva di proporre querela di falso ex art. 221 c.p.c. con separato giudizio, avendo già il ricorrente sporto querela ex art. 610, 476, 479 c.p. e art. 167 del codice privacy. Inoltre, è stato lo stesso medico di sorveglianza sanitaria a convocare con mail del 26.03.21 il lavoratore indicando la data del 29.03.21. Con lettera pec del 22.04.21 il ricorrente ha impugnato il suddetto provvedimento di sospensione, offrendo formalmente la propria prestazione lavorativa. La società E*** spa diffidata alla revoca ed al reintegro obiettava di essersi limitata “a prendere atto del giudizio di inidoneità alla mansione ed alla prestazione lavorativa, reso dal medico competente e da questo consegnato ai lavoratori”, lasciando intendere che la responsabilità per qualunque violazione del D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, nonchè in caso di condotta negligente fosse da attribuire al medico competente. In data 05.05.2021 il sig. N. ha impugnato il giudizio di inidoneità in parola presso il competente SPESAL di Roma, il quale, ad oggi, non si è ancora pronunciato. Nel periodo in cui il lavoratore è stato sospeso dal servizio ha effettuato accertamenti diagnostici, gli stessi che il medico competente non ha preso in considerazione pur dovendo tutelare, in base alla T.U. Dlgs. 81/2008, la salute del lavoratore al fine di scongiurare il rischio di reazione avversa alla vaccinazione, all’esito dei quali il cardiologo del Policlinico Umberto I ha rilasciato il certificato attestante l’esonero dalla vaccinazione per l’alto rischio di reazione allergica-iperimmune e di eventi cardiovascolari maggiori e tromboembolici/emorragici. In data 02.07.2021, decorsi i tre mesi della sospensione in virtù del giudizio di non idoneità temporaneo, il lavoratore veniva convocato per una nuova visita dinanzi al medico competente, il quale a fronte della nuova certificazione medica attestante il rischio concreto di grave reazione avversa, esibita dal lavoratore, affermava di poter concedere idoneità alla mansione lavorativa, ma di dover “sentire preventivamente” il datore di lavoro nella persona di *** ***. Accadeva poi che il ricorrente, dopo essere uscito dalla medicheria, veniva richiamato nella stanza dall’infermiera e del tutto inaspettatamente gli veniva comunicato dal medico competente, contrariamente a quanto annunciato poco prima di essere congedato, di essere stato giudicato nuovamente non idoneo alla mansione lavorativa per altri tre mesi, nonostante il concreto pericolo per la salute nel caso di somministrazione del vaccino anti- Covid.

In data 07.07.2021 riceveva a mezzo raccomandata il nuovo provvedimento di collocamento in aspettativa non retribuita con decorrenza 2 luglio per ulteriori tre mesi e il giudizio di inidoneità alla mansione specifica per mancato completamento del protocollo sanitario. Infine, in data 15.07.2021 a mezzo lettera pec, il sig. N. ha tempestivamente e ritualmente impugnato anche il secondo provvedimento di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, offrendo nuovamente la propria prestazione lavorativa.

La società E*** s.p.a. ha concluso per il rigetto del ricorso perché infondato in fatto ed in diritto, quanto al fumus e quanto al periculum.

A fondamento della propria posizione la Società deduce che con la comunicazione in riscontro a quella del 25.01.2021 il N. ha comunicato alla resistente di non voler aderire al piano di vaccinazione proposto dalla Società con il supporto della ASL RM 2 e su richiesta della Regione Lazio.

In data 10.03.2021, anche in ragione dell’emergenza sanitaria per Covid – 19, la E***, con l’intervento del Medico Competente, ha aggiornato il proprio protocollo sanitario ex D.lgs n. 81/2008 prevedendo l’obbligo per il proprio personale sanitario di vaccinazione anti Covid – 19, protocollo espressamente sottoscritto dal N. in qualità di RLS (doc. n. 1- protocollo sanitario del 10.03.2021).

Con certificazione del 31.03.2021 il medico competente ex D.Lgs. n. 81/2008, dott. *** *** ***, ha ritenuto, a seguito di controlli/accertamenti, e come si osserva dalla documentazione ex adverso prodotta dopo ben due precedenti convocazioni, il sig. N. inidoneo temporaneamente alla mansione specifica per tre mesi e, comunque, fino al completamento del protocollo sanitario.

Conseguentemente E***, prendendo atto di quanto certificato dal Medico Competente, con comunicazione raccomandata del 06.04.2021, in virtù di quanto disposto dall’art. 2087 c.c. e dal D.lgs. n. 81/2008, ha comunicato al ricorrente il suo collocamento in aspettativa non retribuita per la durata di tre mesi.

Come noto, in data 01.04.2021, è entrato in vigore il D.L. n. 44/2021 avente ad oggetto “Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da Covid -19 in materia di vaccinazioni anti Sars-Cov-2, di giustizia e di concorsi pubblici”.

In ottemperanza a quanto previsto dall’art 4, co. 3, del D.L. 44/21 la E*** ha trasmesso alle autorità sanitarie competenti l’elenco dei propri operatori socio sanitari per consentire gli adempimenti ivi prescritti (doc n. 3 – 2 pec elenco operatori sanitari trasmesso in ottemperanza del comma 3, art. 4 D.L. 44/21).

Con comunicazione del 22.04.2021 il N., per tramite del proprio difensore, ha impugnato il collocamento in aspettativa non retribuita, ritenendolo illegittimo. E*** ha riscontrato tale comunicazione riferendo di aver semplicemente preso atto del certificato di inidoneità alla mansione specifica reso dal Medico Competente e di essersi comportata in conformità della vigente normativa (cfr. doc.ti 6 ed 8 di parte ricorrente).

Decorsi i tre mesi di sospensione dall’attività lavorativa, con certificazione del 02.07.2021 il Medico Competente dott.ssa *** ***, a seguito di visita medica periodica, ha ritenuto il ricorrente inidoneo temporaneamente alla mansione specifica per ulteriori tre mesi, e comunque fino al completamento del protocollo sanitario.

Con comunicazione del 02.07.2021 la E***, preso atto di quanto rilevato dal medico competente in occasione della visita del 02.07.2021 ha provveduto alla sospensione del ricorrente dall’attività lavorativa e dalla retribuzione per ulteriori tre mesi o comunque fino all’eventuale accertamento della sopravvenuta idoneità alla mansione (cfr. doc. n. 11 di parte ricorrente).

Con comunicazione del 15.07.2021 il N., per tramite del proprio difensore, ha impugnato il provvedimento del 02.07.2021 ritenendolo illegittimo. E*** con comunicazione del 16.07.2021 ha fornito riscontro alla impugnativa del 15.07.2021 per ribadire di essersi limitata a prendere atto di quanto certificato dal Medico Competente in occasione della visita del 02.07.2021 e di essersi comportata in conformità con le disposizioni di Legge e delle indicazioni fornite da Garante della Privacy in data 13.05.2021, negando fermamente che vi sia mai stata alcuna conversazione telefonica e/o qualsivoglia confronto tra il Medico Competente e esponenti della Società in occasione della visita del 02.07.2021 e ribadendo di essersi comportata in conformità di quanto previsto dall’art. 4 del D.L. 44/2021, come convertito dalla L. 76/2021.

All’udienza fissata, il Giudice del Lavoro, presenti le parti, udita la discussione, si riservava e, a scioglimento della riserva assunta, così provvedeva.

Il ricorso cautelare proposto da N.A. non merita accoglimento e deve essere pertanto rigettato.

1. Sul fumus boni iuris

Occorre premettere, in linea generale, che l’efficacia del vaccino anti-Covid è attestata dalla normativa primaria (art. 1, comma 457, L.n. 178/2020) e dal Piano strategico nazionale adottato con Decreto del ministro della Salute del 02.01.2021. La profilassi vaccinale, infatti, viene considerata dal legislatore e dalle autorità sanitarie efficace e fondamentale misura di contenimento del contagio. E’ fatto notorio che la vaccinazione per cui è causa costituisce strumento idoneo ad evitare l’evoluzione della malattia.

Nel rapporto del Gruppo di lavoro dell’ISS si legge: “Gli studi clinici condotti finora hanno permesso di dimostrare l’efficacia dei vaccini nella prevenzione delle forme clinicamente manifeste di COVID-19, anche se la protezione, come per molti altri vaccini, non è del 100%. Inoltre, non è ancora noto quanto i vaccini proteggano le persone vaccinate anche dall’acquisizione dell’infezione. È possibile, infatti, che la vaccinazione non protegga altrettanto bene nei confronti della malattia asintomatica (infezione) e che, quindi, i soggetti vaccinati possano ancora acquisire SARS-CoV-2, non presentare sintomi e trasmettere l’infezione ad altri soggetti.

Ciononostante, è noto che la capacità di trasmissione da parte di soggetti asintomatici è inferiore rispetto a quella di soggetti con sintomi, in particolare se di tipo respiratorio”.

Le autorità regolatorie hanno autorizzato la somministrazione vaccinale per larghe fasce di popolazione, circostanza che esclude l’asserita natura sperimentale del vaccino anti-Covid.

Allo stato non vi sono evidenze scientifiche che comprovino l’inadeguatezza dei vaccini attualmente in uso e il rischio di danni irreversibili a lungo termine.

Le reazioni avverse più frequenti (dolore in sede di iniezione, stanchezza, cefalea, mialgia e brividi) sono generalmente di lieve o moderata intensità e si risolvono entro pochi giorni dalla vaccinazione.

Quanto al fumus boni iuris, osserva il Tribunale che non è contestato che il ricorrente non sia vaccinato.

Il rifiuto del vaccino, non giustificato da un “accertato pericolo per la salute” (comma 2), ed in assenza di mansioni alternative disponibili, anche inferiori, che non comportino contatti interpersonali o rischio di diffusione del contagio (comma 8), determina la sospensione dalla prestazione e dalla retribuzione (comma 6), fino al 31 dicembre 2021, o fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale (comma 9).

La norma ha introdotto in questo modo una duplice qualificazione per quanto riguarda la vaccinazione nell’ambito del rapporto di lavoro: non solo in termini di obbligo “al fine di tutelare la salute pubblica”, ma anche di requisito essenziale per lo svolgimento appunto di determinate attività, al fine di “mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza da parte dei suddetti soggetti”.

In tal modo, la vaccinazione diventa anche una misura, tipizzata dalla legge, per l’adempimento dell’obbligo di sicurezza ex art. 2087 cod. civ.

Questa duplice finalità – salute pubblica, sicurezza nel luogo di lavoro – ha consentito al legislatore di qualificare la vaccinazione come requisito essenziale per lo svolgimento delle suddette prestazioni, e quindi anche come un onere per i lavoratori.

Se la qualificazione della fattispecie è ineccepibile, la procedura da seguire risulta abbastanza farraginosa perché prevede una serie di comunicazioni dal datore di lavoro agli ordini professionali alla Regione e dalla Regione alla ASL, la quale, al termine di un mini-procedimento nei confronti del lavoratore “no vax”, in caso di ingiustificato rifiuto del vaccino, emana un atto di accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale (art. 4, comma 6), che determina la sospensione “dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio”; di questo atto ne viene data comunicazione immediata all’ interessato, al datore di lavoro e all’ordine professionale. Ricevuto tale atto, il datore di lavoro, ove possibile, adibisce il lavoratore ad altre mansioni diverse da quelle che implicano contatti interpersonali o comportano comunque un rischio di diffusione del contagio. Le mansioni alternative possono essere anche inferiori, se sono le uniche disponibili, con corrispondente diminuzione della retribuzione. Nel caso in cui non sia possibile questa sorta di repechage, la norma laconicamente si limita a prevedere che per il periodo di sospensione non è dovuta alcuna retribuzione; se ne arguisce che il lavoratore deve essere allontanato immediatamente dal luogo ove svolgeva l’attività, anche se la disposizione non lo stabilisce espressamente.

Alla luce di questa interpretazione sistematica si può pertanto ritenere confermato, su di un piano più generale, che, per i lavoratori addetti a mansioni ad alto rischio, la sottoposizione ad un vaccino disponibile si configura innanzitutto come un onere. Ciò in quanto l’essere vaccinato, nella situazione di estrema gravità della pandemia da Covid-19, può assumere la rilevanza di un requisito sanitario essenziale per lo svolgimento in sicurezza di determinate prestazioni lavorative e financo incidere sul giudizio medico di inidoneità alle mansioni. Dal punto di vista del contratto, un requisito soggettivo essenziale per lo svolgimento della prestazione si configura infatti come un onere a carico di chi deve possederlo o acquisirlo, come può essere, ad esempio, il porto d’armi per la guardia giurata, una patente speciale per l’autotrasportatore, etc.

2. Sul periculum in mora

Quanto al periculum in mora, nel ricorso introduttivo del giudizio non è stato dedotto né chiesto di provare alcun pregiudizio grave ed irreparabile che giustificherebbe l’emanazione di un provvedimento cautelare.

Invero, il ricorrente si è limitato a lamentare la perdita del lavoro e della retribuzione necessaria al mantenimento della famiglia per il periodo della sospensione dal servizio.

Tali allegazioni non provano di per sé il danno irreparabile che potrebbe giustificare il ricorso al rito sommario.

Osserva al riguardo il Tribunale che il periculum in mora deve fondarsi su elementi concreti che incombe alla parte ricorrente allegare e provare.

Il periculum consiste in un pericolo concreto ed attuale e deve essere accertato nella sua effettiva consistenza, non potendo il giudice concedere un provvedimento d’urgenza solo sulla base di valutazioni soggettive della parte ricorrente.

Le particolari ragioni che giustificano l’uso dello strumento cautelare, pertanto, devono concretamente sussistere ed essere evidenziate, perché altrimenti si finirebbe con il sostituire alla tutela ordinaria, la tutela cautelare, con grave pregiudizio dei diritti costituzionali di difesa.

Sulla base di tali considerazioni da ritenersi prevalenti su ogni altra censura, tenuto conto della natura sommaria della cognizione, il ricorso deve essere respinto.

L’assoluta novità della questione trattata giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c.

P.Q.M.

Il Tribunale Ordinario di Roma, Sezione Lavoro, così provvede:

1) rigetta il ricorso;

2) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese processuali.

Così deciso nella camera di consiglio del 16 agosto 2021.

Si comunichi a cura della cancelleria.

Il Giudice

Dott. Paolo Mormile

Continua a leggere...

Tar Puglia sezione Lecce 480/2021 -Medico rifiuta la vaccinazione. La sospensione ordinistica è valida

Pubblicato il 05/08/2021
N. 00480/2021 REG.PROV.CAU.

N. 01161/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce – Sezione Seconda

Il Presidente

ha pronunciato il presente

DECRETO

sul ricorso numero di registro generale 1161 del 2021, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Edoardo Polacco, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro

Azienda Sanitaria Locale di Brindisi, non costituita in giudizio;
Ordine del Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Brindisi, rappresentato e difesa dall’Avv. Adriano Tolomeo ed elettivamente domiciliato presso il suo studio con domicilio digitale come da Registri di Giustizia;
per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia,

della delibera prot. n. -OMISSIS- dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Brindisi avente ad oggetto la sospensione dell’esercizio professionale della Dott.ssa -OMISSIS- e dell’assorbita comunicazione /sospensione prot. n. -OMISSIS- della ASL di Brindisi, con la quale si sospendeva dal servizio senza retribuzione la ricorrente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Vista l’istanza di misure cautelari monocratiche proposta dal ricorrente, ai sensi dell’art. 56 cod. proc. amm.;

Considerato che l’atto impugnato è costituito dalla nota dell’Ordine del Medici Chirurghi e Odontoiatri della Provincia di Brindisi prot. -OMISSIS-, recante “presa d’atto” della sospensione ex lege, ivi compresa la presupposta comunicazione/sospensione della ASL Brindisi di cui alla nota -OMISSIS-;

Considerato che i predetti atti costituiscono atti di mera comunicazione della Delibera di presa d’atto da parte del C.D. dell’O.M.C.E.O. di Brindisi di cui al verbale della seduta del -OMISSIS- e, rispettivamente, della Deliberazione del D.G. della ASL Brindisi n. -OMISSIS-;

Considerato che gli atti sopramenzionati risultano diretta conseguenza delle disposizioni legislative richiamate e, in specie, del D.L. n.44 dell’1/4/2021 convertito in L. n.76/2021 “ Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da Covid-19…”;

Considerato che la normativa richiamata riveste carattere eccezionale e derogatorio e si inscrive dunque nell’ambito della legislazione connessa all’emergenza e finalizzata al contenimento della diffusione del contagio da SARS-COVID-19;

Considerato che in particolare l’art. 4 del D.L. citato prevede una dettagliata articolazione del solo procedimento volto all’accertamento dei presupposti in fatto (mancato adempimento dell’obbligo di vaccinazione), determinando viceversa in via automatica e diretta gli effetti e le conseguenze del mancato adempimento dell’obbligo vaccinale, senza alcuna discrezionalità dell’amministrazione datoriale di riferimento, salvo che con riferimento all’eventuale adibizione del dipendente a diverse mansioni, prevedendo testualmente:

“1. In considerazione della situazione di emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2, fino alla completa attuazione del piano di cui all’articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attivita’ nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati. La vaccinazione e’ somministrata nel rispetto delle indicazioni fornite dalle regioni, dalle province autonome e dalle altre autorita’ sanitarie competenti, in conformita’ alle previsioni contenute nel piano.

  1. Solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale, la vaccinazione di cui al comma 1 non e’ obbligatoria e puo’ essere omessa o differita.
  2. Entro cinque giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ciascun Ordine professionale territoriale competente trasmette l’elenco degli iscritti, con l’indicazione del luogo di rispettiva residenza, alla regione o alla provincia autonoma in cui ha sede. Entro il medesimo termine i datori di lavoro degli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attivita’ nelle strutture sanitarie, sociosanitarie, socio-assistenziali, pubbliche o private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali trasmettono l’elenco dei propri dipendenti con tale qualifica, con l’indicazione del luogo di rispettiva residenza, alla regione o alla provincia autonoma nel cui territorio operano.
  3. Entro dieci giorni dalla data di ricezione degli elenchi di cui al comma 3, le regioni e le province autonome, per il tramite dei servizi informativi vaccinali, verificano lo stato vaccinale di ciascuno dei soggetti rientranti negli elenchi. Quando dai sistemi informativi vaccinali a disposizione della regione e della provincia autonoma non risulta l’effettuazione della vaccinazione anti SARS-CoV-2 o la presentazione della richiesta di vaccinazione nelle

modalita’ stabilite nell’ambito della campagna vaccinale in atto, la regione o la provincia autonoma, nel rispetto delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali, segnala immediatamente all’azienda sanitaria locale di residenza i nominativi dei soggetti che non risultano vaccinati.

  1. Ricevuta la segnalazione di cui al comma 4, l’azienda sanitaria locale di residenza invita l’interessato a produrre, entro cinque giorni dalla ricezione dell’invito, la documentazione comprovante l’effettuazione della vaccinazione, l’omissione o il differimento della stessa ai sensi del comma 2, ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione o l’insussistenza dei presupposti per l’obbligo vaccinale di cui al comma 1. In caso di mancata presentazione della documentazione di cui al primo periodo, l’azienda sanitaria locale, successivamente alla scadenza del predetto termine di cinque giorni, senza ritardo, invita formalmente l’interessato a sottoporsi alla somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2, indicando le modalita’ e i termini entro i quali adempiere all’obbligo di cui al comma 1. In caso di presentazione di documentazione attestante la richiesta di vaccinazione, l’azienda sanitaria locale invita l’interessato a trasmettere immediatamente e comunque non oltre tre giorni dalla somministrazione, la certificazione attestante l’adempimento all’obbligo vaccinale.
  2. Decorsi i termini di cui al comma 5, l’azienda sanitaria locale competente accerta l’inosservanza dell’obbligo vaccinale e, previa acquisizione delle ulteriori eventuali informazioni presso le autorita’ competenti, ne da’ immediata comunicazione scritta all’interessato, al datore di lavoro e all’Ordine professionale di appartenenza. L’adozione dell’atto di accertamento da parte dell’azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.
  3. La sospensione di cui al comma 6, e’ comunicata immediatamente all’interessato dall’Ordine professionale di appartenenza.
  4. Ricevuta la comunicazione di cui al comma 6, il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l’assegnazione a mansioni diverse non e’ possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9, non e’ dovuta la retribuzione, altro compenso o emolumento, comunque denominato.
  5. La sospensione di cui al comma 6 mantiene efficacia fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021.
  6. Salvo in ogni caso il disposto dell’articolo 26, commi 2 e 2-bis, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, per il periodo in cui la vaccinazione di cui al comma 1 e’ omessa o differita e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, il datore di lavoro adibisce i soggetti di cui al comma 2 a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2”;

Considerato che ricorre la giurisdizione del giudice amministrativo anche con riferimento alla sospensione dall’esercizio della professione, per difetto di presupposto ex lege (art. 4 comma 1 DL citato), essendo tale sospensione del tutto atipica ed estranea a finalità disciplinari o sanzionatorie (per le quali ricorre invece speciale giurisdizione della C.C.E.P.S.);

Considerato che sotto tale profilo, ovvero quello relativo alla sospensione dall’esercizio della professione, la normativa di cui trattasi si configura come legge-provvedimento, determinandosi ex lege l’effetto lesivo della posizione della ricorrente direttamente ed in via automatica, come peraltro reso evidente dalla natura degli atti impugnati, meramente ricognitivi o di presa d’atto della sospensione ex lege;

Considerato l’orientamento giurisprudenziale in tema di mezzi di tutela offerti al cittadino avverso leggi-provvedimento e richiamato in proposito specifico precedente di questo Tribunale:

“Secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, deve escludersi l’impugnabilità diretta della legge provvedimento dinanzi al Giudice amministrativo, atteso che i mezzi di tutela predisposti dall’ordinamento sono ancorati al criterio formale e, quindi, risultando riservata solo al giudice della leggi la possibilità di determinare la caducazione della norma di legge; correlativamente, il giudizio di costituzionalità deve conservare il proprio carattere incidentale e quindi muovere pur sempre dall’impugnazione di un atto amministrativo.

Sulla base delle chiare indicazioni della Corte, la giurisprudenza amministrativa è pervenuta da tempo ad una differente e peculiare qualificazione con riferimento all’ammissibilità dell’impugnazione, al fine di realizzare un sistema coerente con i principi costituzionali a garanzia del diritto alla tutela giurisdizionale, affermando chiaramente che – nell’ ipotesi di legge provvedimento – l’unica possibilità di tutela per i cittadini è quella consiste nella possibilità impugnare gli atti applicativi delle stesse, anche se di contenuto vincolato e privi di autonoma lesività, deducendo tuttavia – a motivo di impugnazione – l’incostituzionalità della norma presupposta (ex multis: C.d.S Sezione Sesta 8.10.2008 n. 4933; C.d.S Sezione Quarta 22.3.2021 n. 2409).

Qualora pertanto la norma citata dovesse qualificarsi come legge provvedimento, come peraltro il Collegio ritiene, dovrebbe necessariamente – in deroga ai principi generali – ritenersi ammissibile l’impugnazione di qualunque atto, ancorché non lesivo ed anche se di mera comunicazione, in quanto unico mezzo di tutela offerto al cittadino, cui è ovviamente preclusa la possibilità di diretta impugnazione della legge provvedimento.

Logico corollario di quanto sopra é costituito dal fatto che il ricorso in tal caso, qualora ritenuto fondato, non può essere definito attraverso l’accoglimento della domanda, risultando necessaria e imprescindibile la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale.

Ed invero, individuata la norma di legge come fonte diretta ed immediata della dedotta lesione della sfera giuridica del ricorrente, l’accoglimento del ricorso avverso un mero atto, di per sé sfornito del tutto di qualsivoglia profilo di lesività, non risulterebbe in linea con le chiare indicazioni che emergono dal peculiare sistema di tutela delineato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale e del Consiglio di Stato” (TAR Puglia Lecce Sez. I sent. N.981/2021 del 29/6/2021);

Ritenuta pertanto l’ammissibilità del ricorso, in ragione dei vari profili di presunta incostituzionalità della normativa di cui trattasi, cosi come prospettati e dedotti specificamente dalla ricorrente;

Considerato, con riferimento alla fattispecie concretamente in esame e al periculum in mora prospettato, ovvero alla omessa ricollocazione lavorativa della ricorrente, che l’art. 4 co. 10 del citato D.L. 44/2021 riserva l’adibizione d’ufficio ad altre e diverse mansioni solo all’ipotesi di soggetto per il quale sia stata dichiarata ed accertata l’esenzione o il differimento della vaccinazione, ipotesi del tutto differente dal quella in esame, in quanto caratterizzata da atteggiamento di leale collaborazione da parte del dipendente;

Considerato che la ricorrente ha viceversa tenuto una condotta dilatoria e certamente non collaborativa, tale da precludere all’amministrazione la possibilità di accertare eventuali situazioni non compatibili con l’obbligo vaccinale;

Considerato che il fatto che l’attestazione dell’incompatibilità sia attribuita al medico di medicina generale, non esclude ma anzi presuppone il potere dovere dell’amministrazione sanitaria di verificarne l’attendibilità e l’effettività;

Considerato che comunque l’Amministrazione ha espressamente valutato la possibilità di ricollocazione lavorativa della ricorrente con adibizione della stessa ad altre e diverse mansioni non comportanti contatti con gli utenti e con restante personale sanitario, concludendo in senso negativo con una motivazione condivisibile e supportata da adeguata istruttoria;

Considerato che è comunque in facoltà della ricorrente conseguire la cessazione di tutti i lamentati effetti pregiudizievoli adempiendo all’obbligo vaccinale, adempimento espressamente previsto dalla legge come presupposto necessario ed imprescindibile per l’esercizio della professione ex art. 4 comma 1 D.L. citato;

Considerato che – entro i limiti decisionali connessi alla presente fase cautelare monocratica -nel giudizio di bilanciamento dei contrapposti interessi, la posizione della ricorrente e il diritto dell’individuo, sotto i vari profili evidenziati, debbono ritenersi decisamente recessivi rispetto all’interesse pubblico sotteso alla normativa di cui trattasi, nel contesto emergenziale legato al rischio di diffusione della pandemia da COVID-19, che deve costituire il parametro di lettura della normativa medesima.

P.Q.M.

Respinge l’istanza di cautela monocratica.

Fissa per la trattazione collegiale la camera di consiglio del 15 settembre 2021.

Il presente decreto sarà eseguito dall’Amministrazione ed è depositato presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all’articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.

Così deciso in Lecce il giorno 4 agosto 2021.

 Il Presidente
 Antonio Pasca

IL SEGRETARIO

Tribunale di Roma. Dipendente di un villaggio turistico rifiuta la vaccinazione. Legittimo sospenderlo dalla retribuzione se a contatto con il pubblico ed a dirlo è il medico competente

Tribunale di Roma, Sez. 2 Lav., 28 luglio 2021, n. 18441
Il Giudice dott.ssa Renata Quartulli, sciogliendo la riserva che precede, esaminati gli atti

osserva
Dalla documentazione in atti risulta quanto segue:
-la ricorrente, sottoposta a visita di idoneità dal medico competente è stata dichiarata: “Idoneo con limitazioni” , ovvero: “Evitare carichi lombari maggiori/uguali a 7 Kg …Altro non può essere in contatto con i residenti del villaggio” ( cfr doc 5 in atti resistente) stante il rifiuto di sottoporsi a vaccinazione contro il virus Sars covid.

  1. Tale giudizio non risulta impugnato dalla lavoratrice;
  • a seguito di tale giudizio la – omissis – le ha comunicato , ai sensi dell’articolo 42 dlgs 81/08, la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, con efficacia dall’1.07.2021, ” Data in cui si tornerà ad operare in modalità ordinaria, ovvero, non in smart working” fino a un eventuale giudizio revisione del giudizio di idoneità o cessazione delle limitazioni . ( cfr doc 6)
  • dall’organigramma prodotto in atti non risultano posizioni lavorative confacenti alla professionalità della ricorrente (né per la verità vi è alcuna deduzione al riguardo in ricorso) e quindi la possibilità di reimpiegare diversamente la ricorrente.

È evidente, quindi, che, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, la comunicazione datoriale non costituisce un provvedimento disciplinare per il rifiuto di sottoporsi a vaccinazione, bensì di un doveroso provvedimento di sospensione adottato stante la parziale inidoneità alle mansioni della lavoratrice. In questi casi, infatti, il datore dì lavoro ha l’obbligo di sospendere in via momentanea il dipendente dalle mansioni alle quali è addetto ai sensi dell’ art. 2087 c.c.

A questo riguardo si richiamano le condivisibili argomentazioni espresse dal Tribunale di Modena ( ordinanza del 19.5.21) che, dopo aver richiamato il disposto di cui all’art. 20 D. Lgs. 81/2008 secondo cui: “1. Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi fomiti dal datore di lavoro.

  1. I lavoratori devono in particolare:

a) contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;

b) osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale;…”

ha affermato : “Da una piena lettura della disposizione in esame si evince che il prestatore di lavoro, nello svolgimento della prestazione lavorativa, è tenuto (non solo a mettere a disposizione le proprie energie lavorative ma anche) a osservare precisi doveri di cura e sicurezza per la tutela dell’integrità psico-fisica propria e di tutti i soggetti terzi con cui entra in contatto. Il prestatore di lavoro è quindi titolare di precisi doveri di sicurezza e, pertanto, deve essere considerato soggetto responsabile a livello giuridico dei propri contegni… Si osserva poi che, a opinare diversamente e così ad escludere un obbligo (giuridicamente rilevante) di collaborazione da parte del prestatore di lavoro in materia di sicurezza sul lavoro, si depotenzierebbe in misura più che significativa l’obbligo di sicurezza cui il datore di lavoro è sicuramente astretto ai sensi dell’art. 2087 c.c.”

In ordine alla sussistenza dell’obbligo retributivo da parte del datore di lavoro, poi, la giurisprudenza concordemente ritiene che se le prestazioni lavorative sono vietate dalle prescrizioni del medico competente con conseguente legittimità del rifiuto datoriale di riceverle il datore di lavoro non è tenuto al pagamento della retribuzione (cfr. Tribunale di Verona, Sent. n. 6750/2015; Cass., n. 7619/1995).
Peraltro, come è stato osservato: “la protezione e la salvaguardia della salute dell’utenza rientra nell’oggetto della prestazione esigibile. Tutela della salute dell’utenza, penetrata nella struttura del contratto tanto da qualificare la prestazione lavorativa, che non può che attuarsi (anche) mediante la sottoposizione al trattamento sanitario del vaccino contro il virus Sars Cov-2. Con la conseguenza per cui un ingiustificato contegno astensivo rende la prestazione (ove tramontata la possibilità di ricollocamento aliunde) inutile, irricevibile da parte del datore di lavoro poiché inidonea al soddisfacimento dell’interesse creditorio e alla realizzazione del sinallagma, così come obiettivizzatosi nel regolamento contrattuale ( Trib. Modena cit).

Tali considerazioni assumono carattere assorbente e giustificano il rigetto del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento di euro 1300 a titolo di compensi professionali oltre oneri di legge

Continua a leggere...

Tribunale di Modena. Legittimo sospendere il lavoratore di una cooperativa che rifiuta la vaccinazione covid

L’ art. 20 D. Lgs. 81/2008 (testo unico sicurezza sul lavoro) stabilisce che: ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre  persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni fornite dal datore di lavoro. Obbligo che comprende, anche, quello di utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione. Tale obbligo grava anche sui liberi professionisti che svolgono attività per conto dei datori di lavoro.

Questa è l’opinione espressa nell’Ordinanza della terza sezione civile lavoro del Tribunale di Modena, depositata il 19 maggio scorso, con la quale è stato respinto il ricorso avverso la sospensione di una lavoratrice di una cooperativa che svolgeva servizi in una Rsa in seguito al suo rifiuto di  fare il vaccino contro il Covid. La sentenza segue di poco quella del Tribunale di Belluno che giunse alle medesime conclusioni.

Entrambe le sentenze trattano casi antecedenti all’art. 4 del D. L. 44/2021 ma sono importanti a chiarirne la portata e le conseguenze per i lavoratori, compresi quelli autonomi, che si sottraggono all’obbligo.

In particolare, prosegue la sentenza, il  prestatore di lavoro è titolare di precisi doveri di sicurezza e, pertanto, deve essere considerato soggetto responsabile a livello giuridico dei propri contegni.

Inoltre, prosegue la sentenza, anche l’art. 2094 del codice civile  ha  avuto modo di chiarire che, mediante la stipula di un contratto di lavoro subordinato, il prestatore, a fronte dell’incameramento di una retribuzione,  si obbliga a mettere a disposizione del datore la propria attività di lavoro.

Dalla  lettura della disposizione in esame si evince che il  prestatore di lavoro, nello svolgimento della prestazione lavorativa, è tenuto (non solo a mettere a disposizione le proprie energie lavorative ma anche) a osservare precisi doveri di cura e sicurezza per la tutela dell’integrità psico-fisica propria e di tutti i soggetti terzi con cui entra in contatto.

Si ritiene, afferma il magistrato,  che la disposizione in esame rivesta natura precettiva, con conseguente sanzionabilità giuridica di comportamenti difformi dalla medesima.

A questo si aggiunge il fatto che il datore di lavoro ha un preciso obbligo di sicurezza sia nei confronti del lavoratore che di tutti quelli che all’interno della struttura vivono e lavorano, come previsto dall’art. 2087 del codice civile.

La disposizione in esame contempla infatti un obbligo di prevenzione che impone al datore di lavoro di adottare, non solo  le particolari misure tassativamente imposte dalla  legge in relazione al tipo di attività esercitata, che rappresentano lo standard minimale richiesto dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, ma anche tutte le altre misure che in concreto siano richieste dalla specificità del rischio.

Benchè la vaccinazione non era ancora resa obbligatoria all’interno degli ambienti sanitari , al contempo, afferma la pronuncia,  costituiva e ancora ad oggi costituisce misura sanitaria utile a depotenziare la diffusione dell’agente patogeno di rischio (v. es. art. 1, co. 457, L. 178/2020 “per garantire il più efficace contrasto alla diffusione del virus SARS-CoV-2, che il   Ministro della salute ha adottato  con proprio decreto avente natura non regolamentare ( Piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2), finalizzato a garantire il massimo livello di copertura vaccinale sul territorio nazionale” e ribadito con l’obbligo di vaccinazione per i lavoratori con rilevanza sanitaria di cui all’art. 4 del D. L. 44/2021.

Trattamento sanitario la cui mancata sottoposizione comporta, salvo l’ipotesi derogatoria di cui al co. 2,  e salva la possibilità del datore di lavoro  di adibire  mansioni diverse e in luoghi in cui non si verifichi ii rischio di contagio, la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali e dal diritto a percepire la retribuzione.

La mancata e non giustificabile collaborazione del prestatore di lavoro alla creazione di un ambiente di lavoro salubre e sicuro per se e per gli altri (mediante non sottoposizione ad un trattamento  sanitario  utile  a  contingentare  gli  effetti  negativi  scaturenti  dall’emergenza pandemica in atto) costituisce, afferma la sentenza,  o un contegno che incide in misura significativa sul sinallagma, tanto  da comportare  o una modifica  delle mansioni in concreto  affidabili o addirittura la sospensione temporanea del rapporto.

Il pdf della Sentenza

Il quesito. Il sanitario che non si vaccina non può lavorare?

La norma di legge


Il comma 6 dell’art. 4 recita: “Decorsi i termini per l’attestazione dell’adempimento dell’obbligo vaccinale di cui al comma 5, l’azienda sanitaria locale competente accerta l’inosservanza dell’obbligo vaccinale e, previa acquisizione delle ulteriori eventuali informazioni presso le autorità competenti, ne dà immediata comunicazione scritta all’interessato, al datore di lavoro e all’Ordine professionale di appartenenza.
L’adozione dell’atto di accertamento da parte dell’azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2”.

Non sussiste un obbligo assoluto di svolgere la professione se applicata in settori dove non vi è contatto con il pubblico come per esempio teletriage, refertazione al di fuori dei reparti di degenza, televisita ecc .

Gli obblighi della struttura

Una volta accertato che il sanitario non si è vaccinato, la struttura sanitaria non ha un obbligo di mutare l’organizzazione ed ha il divieto, pena responsabilità verso il paziente, di far svolgere attività in presenza a personale non vaccinato e può disporne la sospensione e/o messa in ferie fino al mese di DIcembre 2021.

E’ vietata qualunque attività e presenza di personale sanitario non vaccinato a contatto con il pubblico e nei reparti di degenza.

Cosa rischia il medico non vaccinato che opera in presenza

Il medico può essere denunciato per esercizio non autorizzato di professione sanitaria e nel caso in cui il paziente venga infettato sarà responsabile civilmente e penalmente.

L’ordine professionale può assumere nei suoi confronti le sanzioni disciplinari più gravi come la sospensione e/o nel caso di diffusione del contagio tra i suoi pazienti anche sanzioni più gravi.

Cosa rischia il medico non vaccinato che opera non in presenza

Il tema deontologico è controverso, a mio avviso, in ragione di una interpretazione Costituzionalmente orientata, il medico è responsabile anche deontologicamente se svolge attività in presenza.

Sullo stesso tema

I Giudici hanno espresso alcune opinioni in proposito.

la-rsa-ha-diritto-a-mettere-in-ferie-il-dipendente-che-rifiuta-il-vaccino

Sicurezza sul lavoro e farmaci neoplastici

Immagine Esposizione occupazionale a farmaci antineoplastici in ambito sanitarioa

L’esposizione professionale ai farmaci costituisce un rilevante rischio per gli operatori sanitari.

II documento prodotto dall’Istituto Nazionale Infortuni sul Lavoro presenta una panoramica delle conoscenze attualmente disponibili

L’evoluzione dei metodi di monitoraggio dell’esposizione e degli effetti, una maggiore attenzione alla sorveglianza sanitaria degli esposti con l’istituzione del relativo registro di esposizione ai farmaci la cui cancerogenicità è nota, una maggiore informazione e formazione del personale all’uso dei dispositivi di protezione e una maggiore attenzione alla percezione del rischio nel personale esposto sono sicuramente strumenti utili ai fini della valutazione e gestione dei rischi per la salute di tale categoria di lavoratori.

Clicca qui per il documento dell’Inail