Studio Legale Avv. Paola Maddalena Ferrari

Il medico si fida del collega. Non sempre scusa!

In materia di colpa medica nelle attività d'equipe, del decesso del paziente risponde ogni componente dell'equipe, che non osservi le regole di diligenza e perizia connesse alle specifiche ed effettive mansioni svolte. 
Qualora  vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela .

Il medico che partecipa ad un atto clinico, che sa non essere eseguito correttamente, ha l’obbligo di opporsi e manifestare il proprio dissenso in cartella clinica e deve pretendere l’esame clinico omesso.

La presa in carico del paziente, nel momento dell’effettuazione dell’ intervento chirurgico al quale il medico partecipa, consegue l’ assunzione degli obblighi protettivi nascenti dall’instaurato rapporto protettivo e di controllo.

Questa è l’opinione, espressa dalla quarta sezione della Cassazione Penale, nella sentenza n. 28316 del 29 settembre 2020.

Il fatto

Una dottoressa specializzata in pneumologia fu condannata a quattro mesi di reclusione, pena sospesa, per omicidio colposo.

In primo grado fu assolta ma, a seguito dell’appello del Pubblico Ministero la sentenza fu ribaltata. Sentenza confermata dalla Cassazione.

Il paziente ricoverato nel reparto di pneumologia era affetto da empiema pleurico e focolaio bronco pneumonico destro e fu sottoposto il giorno precedente ai fatti ad intervento di toracentesi.

La dottoressa, in servizio all’inizio del turno, si accorse che le sue condizioni si stavano aggravando e chiese l’intervento del chirurgo che effettuò la prima operazione, il quale lo sottopose d’urgenza sul posto ad intervento di toracentesi senza aspettare la Tac che la dottoressa aveva richiesto e senza ecografia di supporto.

La dottoressa, presente nella stanza di degenza del paziente durante l’intervento del chirurgo, convocò l’infermiera e, onde facilitare le manovre operatorie, ponendosi davanti al paziente che era seduto sulla sponda del letto, lo resse, facendo in modo che assumesse un’idonea posizione.

I chirurghi, a tergo del paziente, commisero l’errore di praticare la toracentesi sul polmone sano, cagionando in tal modo la morte del paziente per arresto cardiocircolatorio dovuto ad asfissia acuta.

Secondo la Cassazione, la dottoressa benchè avesse un ruolo defilato ha comunque  assunto una posizione di garanzia nei confronti del paziente.

Derivante non soltanto dalla sua qualifica di medico pneumologo addetto al reparto in cui questi si trovava ricoverato (ragione per la quale il sanitario decise di richiedere la consulenza dei colleghi chirurghi avendo notato un peggioramento delle condizioni di salute del paziente), ma anche dalla intervenuta partecipazione all’intervento chirurgico, partecipazione sostanziatasi nell’avere prestato materiale ausilio alla sua realizzazione, sia pure attraverso il breve atto di reggere il paziente, facendogli assumere la posizione più idonea per l’intervento, quella cioè destinata a realizzare la maggiore espansione toracica.

Il fatto che la posizione non le permettesse di vedere cosa facessero di colleghi non la esenta da colpa.

L’attività di controllo avrebbe infatti dovuto esperirsi in maniera più ampia, ossia, prima della manovra operatoria, pretendendo l’impiego del mezzo ecografico e, durante la manovra operatoria, facendo in modo di mantenere il contatto visivo che, certamente, la guida ecografica avrebbe consentito.

Il medico per evitare la propria responsabilità avrebbe dovuto manifestare il proprio dissenso in ordine alle modalità operative prospettate e avrebbe dovuto pretendere la guida ecografica, pregiudica l’effetto liberatorio invocato dalla difesa. La mancata individuazione della sede appropriata in cui introdurre l’ago per l’aspirazione, ponendosi come conseguenza non imprevedibile della condotta serbata determina l’impossibilità di attingere alla categoria dei fatti eccezionali sopravvenuti, suscettibili di determinare autonomamente l’evento.